Politica estera

L'ammissione (tardiva) di Hunter Biden: era suo il famigerato laptop

Non era "propaganda russa": gli avvocati di Hunter Biden ammettono finalmente l'esistenza del famigerato laptop. L'inchiesta del New York Post venne addirittura censurata da Twitter nel 2020

L'ammissione (tardiva) di Hunter Biden: era suo il famigerato laptop
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Per circa due anni la grande stampa liberal e la sinistra dem negli Usa hanno demonizzato l'inchiesta del New York Post circa i contenuti del laptop trovato in un negozio del Delaware e appartenente ad Hunter Biden, lobbista e figlio del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.

"Propaganda russa", dicevano. Come se non bastasse, in combutta con l'allora dirigenza di Twitter, ogni notizia riguardante il figlio del presidente, prima delle elezioni presidenziali del 2020, veniva sistematicamente censurata. Fortunatamente, il tempo è galantuomo. E dopo una prima, tardiva ammissione del New York Times circa l'esistenza del famigerato laptop, ora sono gli stessi avvocati di Hunter Biden a cambiare strategia e ad ammettere, chiaramente, che il pc esiste.

Come riporta il New York Post, nella lettera di 14 pagine inviata al procuratore generale del Delaware Kathy Jennings, l'avvocato di Biden, ha affermato che il proprietario del negozio John Paul Mac Isaac ha "illegalmente" avuto accesso ai dati del laptop di Hunter e ha lavorato in combutta con l'avvocato personale dell'ex presidente Donald Trump, Rudy Giuliani, al fine di screditare il suo assistito, diffondendo in maniera illegittima i contenuti del laptop.

L'ammissione degli avvocati

Così cambia la narrazione e anche la strategia degli avvocati di Hunter Biden. Ora non si dice più che il contenuto del laptop è falso o è stato addirittura prodotto dai russi. Si ammette candidamente, dopo due anni, che è tutto vero. Il punto è che il proprietario del negozio in cui è stato trovato il laptop e Rudy Giuliani non avrebbero dovuto far circolare quei file personali di Hunter Biden.

Questa, in sostanza, è la tesi degli avvocati del figlio del presidente Usa, che minaccia di citare in giudizio lo stesso Giuliani e anche il conduttore Tucker Carlson, di Fox News. "Questo sporco trucco politico ha portato direttamente all'esposizione, allo sfruttamento e alla manipolazione delle informazioni private e personali del signor Biden", ha scritto Lowell. "La condotta intenzionale, sconsiderata e illegale di Mac Isaac ha consentito la circolazione su Internet di centinaia di gigabyte di dati personali del signor Biden, senza alcuna discrezione".

Mac Isaac ha preso possesso del laptop e del disco rigido alla fine del 2019 dopo aver tentato per mesi a notificare da Hunter Biden che il dispositivo era stato riparato. Una volta che il proprietario del negozio ha visionato il contenuto del laptop, comprese le email che descrivono in dettaglio gli affari "torbidi" del figlio dell'allora vicepresidente Joe Biden e i video di Hunter che fuma crack e fa sesso con prostitute, ha allertato l'Fbi.

I federali hanno ritirato il laptop nel dicembre 2019, ma non prima che Isaac ne facesse una copia e la consegnasse all'avvocato personale di Giuliani, Robert Costello. Giuliani ha fornito al New York Post una copia del disco rigido nell'ottobre 2020.

Cosa dicono le mail che inchiodano i Biden

Il 14 ottobre 2020 il New York Post pubblicava così un’inchiesta bomba: secondo le email ottenute dal giornale conservatore, infatti, Hunter Biden presentò suo padre, all’epoca vicepresidente, un alto dirigente di Burisma meno di un anno prima che Joe Biden facesse pressioni sui funzionari del governo di Kiev affinché licenziassero un procuratore che stava indagando sulla stessa società nel quale il figlio era un membro del Cda.

L’incontro è menzionato in un messaggio di apprezzamento che Vadym Pozharskyi, un membro del Cda di Burisma, avrebbe inviato Hunter Biden il 17 aprile 2015, circa un anno dopo che il figlio dell’ex vicepresidente si era unito al consiglio di Burisma con uno stipendio di 50 mila dollari al mese.

Le email provengono proprio dal laptop di Hunter Biden, la cui esistenza ora è comprovata persino dagli avvocati del figlio del presidente, dopo due anni di bugie.

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