"Potrebbe morire il 90% della popolazione Usa". Lo studio choc sull'apocalisse nucleare

I ricercatori dell'Università di Princeton hanno ragionato sulle conseguenze apocalittiche di un attacco ai siti missilistici nucleari collocati sul territorio americano

"Potrebbe morire il 90% della popolazione Usa". Lo studio choc sull'apocalisse nucleare
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A che ora è la fine del mondo? I ricercatori del Program on Science and Global Security dell'Università di Princeton non sono in grado di rispondere a questa domanda. Hanno però le idee più chiare su cosa accadrebbe se un attacco atomico colpisse i siti in cui sono collocati i missili nucleari americani. In uno studio pubblicato sulla rivista Scientific American e ripreso da Newsweek gli esperti statunitensi hanno infatti tracciato uno scenario apocalittico che, considerate le crisi internazionali in corso, non può essere liquidato come un esercizio accademico riservato agli addetti ai lavori.

Sono 450 i silos missilistici situati in cinque Stati - North Dakota, Montana, Colorado, Wyoming e Nebraska - nel cuore del Midwest lontano dalle mete turistiche tradizionali che in molti definiscono in maniera sprezzante flyover States. Secondo le stime più pessimistiche prese in considerazione dai ricercatori, nei giorni successivi ad un attacco nucleare contro questi siti da parte di una potenza nemica potrebbero perdere la vita tra le 340mila e le oltre quattro milioni di persone.

Il peggio però arriverebbe solo in seguito con il fallout radioattivo che metterebbe in pericolo 300 milioni di abitanti, il 90% circa della popolazione degli Stati Uniti, e potrebbe rendere inabitabile la gran parte del Nord America. Il Montana, il North Dakota, il Nebraska, il Colorado, il Wyoming, il South Dakota e il Kansas, quasi l’intero Midwest, riceverebbero una quantità di radiazioni pari a dieci volte quella considerata letale. Usando i modelli climatici per la simulazione compiuta in un dato periodo del 2021, la costa occidentale subirebbe invece meno conseguenze a causa della direzione dei venti.

I siti di lancio sono stati costruiti nell’entroterra americano negli anni Sessanta e fanno parte della “triade nucleare” che permette agli Stati Uniti di colpire obiettivi nemici anche adoperando sottomarini ed aerei. L’Air Force ha da poco annunciato che sostituirà a partire dal 2029 tutti i missili balistici intercontinentali (Icbm), i "Minuteman III" operativi dagli anni Settanta, con i più moderni "Sentinel" che, in base alle stime non ufficiali, dovrebbero poter colpire qualsiasi target in un raggio di 6mila miglia e nell’arco di 30 minuti. “I silos sono la parte più vulnerabile del nostro sistema di armi nucleari perché la loro collocazione è rimasta sempre la stessa. Tutti sanno dove si trovano, non è un segreto. La vulnerabilità di questi missili è il motivo per il quale il Comando aereo Usa li mantiene in uno stato di allerta costante, pronti al lancio in pochi minuti” afferma Sebastien Philippe, ricercatore dell'Università di Princeton.

Scientific American aveva già pubblicato in passato studi sulle conseguenze di un attacco atomico all’arsenale di terra ma i nuovi dati sono il frutto di modelli più complessi e informazioni meteorologiche più avanzate. Un portavoce del dipartimento della Difesa ha dichiarato a Newsweek che“una guerra nucleare non può essere né vinta né combattuta”. Per questo motivo, secondo il Pentagono, è fondamentale garantire un “sicuro ed effettivo deterrente atomico.

Diversa la presa di posizione espressa dalla rivista scientifica in un suo editoriale: “dovrebbe esserci solo un numero di armi nucleari sufficiente a scoraggiare il loro utilizzo da parte di altre potenze, cosa che è già così, senza quindi che ci sia bisogno di ricorrere a nuovi armamenti”.

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