Perché oggi dobbiamo scegliere da che parte stare

Perché oggi dobbiamo scegliere da che parte stare
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Ci sono fratture nella storia che non si possono ignorare. Non sono semplici notizie di cronaca, non sono conflitti lontani: sono prove morali che interrogano la coscienza di ciascuno di noi. Israele oggi è al centro di una di queste fratture, e il mondo intero è chiamato a decidere se stare in silenzio o schierarsi.
Il popolo ebraico non è un popolo qualunque: è un popolo che ha attraversato millenni di persecuzioni, esili e massacri. Ha conosciuto la crudeltà più feroce, fino all’abisso della Shoah, eppure è rinato, ha ricostruito, ha trasformato la propria terra in un luogo di vita, ricerca, libertà. Israele non è solo uno Stato: è il simbolo di una resilienza che non si piega.

Eppure, ancora oggi, questo popolo vive sotto la minaccia costante di chi sogna la sua cancellazione.
Ogni sirena che risuona, ogni razzo che piove dal cielo, ogni bambino costretto a correre in un rifugio ricorda a Israele che la sua battaglia non è finita. Ma questa battaglia non riguarda solo loro: riguarda anche noi. Perché il terrorismo islamico radicale non punta solo contro Israele, punta contro l’idea stessa di Occidente, contro la libertà di cui viviamo, contro il futuro che vogliamo lasciare ai nostri figli.

Israele è una democrazia assediata in una regione dominata da dittature, da gruppi fanatici e da organizzazioni terroristiche. E queste realtà, che prosperano nell’odio e nella violenza, non possono essere tollerate, vanno affrontate senza se e senza ma. Perché ogni cedimento, ogni ambiguità, diventa benzina per chi predica la morte al posto della vita. Ogni volta che Israele viene colpito, viene colpita anche l’Europa. Lo abbiamo visto nelle stragi di Parigi, di Londra, di Madrid, nelle piazze trasformate in campi di morte dall’odio jihadista.

Eppure, dire che stiamo con Israele non significa chiudere gli occhi davanti al dolore della popolazione civile di Gaza. Le immagini che ogni giorno ci arrivano sono ferite che lacerano la coscienza: bambini intrappolati tra le macerie, famiglie disperate, occhi pieni di paura e di smarrimento. È un dolore che ci appartiene, che ci spinge alle lacrime, perché la guerra devasta sempre gli innocenti. Ma la verità è chiara: questa sofferenza è frutto della follia di Hamas, un’organizzazione terroristica che ha scelto di sacrificare il proprio popolo pur di perpetuare la violenza.

Hamas non è un partito politico, come qualcuno vorrebbe far credere. È un’organizzazione terroristica a tutti gli effetti, che usa la popolazione civile come scudo umano, che predica la distruzione di Israele, che alimenta il conflitto per consolidare il proprio potere anche attraverso una propaganda spietata, che diffonde scene costruite e manipolate per ribaltare la realtà, fingendo che le vittime siano i carnefici e che i carnefici siano vittime. Hamas non rappresenta il popolo palestinese, che sia chiaro. Hanno un progetto già scritto, fatto di sangue e sottomissione: sottomettere non solo Israele, ma anche lo stesso popolo palestinese, piegandolo al terrore.
Dire “io sto con Israele” significa allora dire “io sto con la vita”. Significa ribadire che non accetteremo mai la logica del terrore, che non permetteremo al fanatismo di trasformare il mondo in una prigione di paura. Significa difendere la libertà, non solo degli israeliani, ma di tutti noi, europei e occidentali, che già abbiamo conosciuto il morso del jihadismo nelle nostre città insanguinate.
E dietro ai numeri, dietro alle statistiche, ci sono volti che chiedono di non essere dimenticati: un padre che tiene la mano di sua figlia in un rifugio, una madre che accarezza il figlio ferito, un giovane che nonostante tutto sogna un domani diverso. Stare dalla parte di Israele vuol dire a questi volti: “Non siete soli, la vostra speranza è anche la nostra”.

Oggi il mondo ha bisogno di una verità semplice e netta: non si può restare nel mezzo quando da una parte c’è chi difende la vita e dall’altra chi la disprezza. Non esiste neutralità quando il terrore bussa alla porta. Si deve scegliere.
Io scelgo Israele. Scelgo il suo diritto a vivere, la sua forza di resistere, la sua voce che grida libertà. E scegliendo Israele scelgo anche l’Occidente, la democrazia, la civiltà. Scegliere Israele significa scegliere il futuro, scegliere l’umanità.
E voglio aggiungere una verità che per me è irrinunciabile: io sono sempre e comunque contro ogni forma di guerra e di sopraffazione di un popolo sull’altro. Credo che la pace sia l’unico autentico segno di concordia, l’unica strada capace di garantire sicurezza e prosperità.

Una pace che nasce dal rispetto reciproco, dal riconoscimento dell’interdipendenza tra i popoli, e che si traduce, all’interno di ogni Stato, nel libero e fruttuoso svolgersi della vita politica, economica, sociale e culturale. Solo così l’umanità può guardare avanti, non più divisa dall’odio, ma unita da una speranza comune.

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