Politica estera

Più sicurezza, meno libertà. Il putinismo che è dentro di noi

Il voto russo non è tanto che non ci piace, quanto piuttosto che ci fa paura

Più sicurezza, meno libertà. Il putinismo che è dentro di noi

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Il voto russo non è tanto che non ci piace, quanto piuttosto che ci fa paura. Parafrasando una felicissima espressione di Giorgio Gaber, non ci fanno paura i russi in sé, ma i russi in noi. Gli europei non avrebbero votato per Putin. O almeno è quanto piace credere alle élite mainstream. Sicché proiettando la nostra visione della politica sugli altri, com'è abitudine di chi si pensa l'ombelico del Mondo, ci dà conforto credere che neanche il popolo russo avrebbe votato per Putin, se avesse avuto l'opportunità di libere elezioni. La storia non si scrive con i se e dunque Putin si tiene il suo 87% di consensi e noi la nostra idea di risultato falsato dall'unica lista. Lungi da questa breve nota l'intento di proporre un'altra ipotetica lettura, che varrebbe meno del suo inchiostro. Ci basta e avanza, per fare una riflessione su di noi e pro domo nostra, la lettura ufficiale: Putin ha vinto perché ha estorto il consenso al popolo russo bravo e buono e, come tutti i popoli della Terra, anelante alla libertà.

Questa descrizione non corrisponde ad alcun fatto documentato. Sì, è vero che in Russia ci sono degli oppositori al regime, milioni di oppositori silenziosi e centinaia di migliaia un po' più visibili. Sì, è altrettanto vero che le votazioni hanno impedito a tali oppositori di presentarsi ed essere votati. E ancora sì, è pure vero che le stesse urne forzavano a un voto favorevole al candidato supremo e che dalle stesse siano usciti voti che nessuna mano ci aveva mai messo. Però i fatti poi sono che quel candidato non ha ottenuto il 57% ma l'87%. Chi se la sente di credere che senza tutte quelle verità, oppositori silenziati e voti truccati, lo zar non avrebbe vinto? Ma non importa. Importa invece la domanda inversa: è possibile che avrebbe vinto comunque? È questa l'ipotesi da cui scappiamo come i vampiri dall'aglio. Perché è questa la realtà che ben conosciamo e che non vogliamo vedere. Circa un secolo fa italiani e tedeschi col loro voto diedero sostegno a due candidati che poi avrebbero governato masse oceaniche adulanti, felici e orgogliose di essere condotte verso scelte catastrofiche. E per circa un secolo abbiamo giocato a nascondino con questa realtà, affermando che no, non eravamo proprio noi, cioè sì, eravamo noi ma non tantissimi, anzi pochi, e che non sapevamo, non credevamo, non volevamo e poi alla fine, almeno noi, non diciamo degli altri, ci siamo ribellati, vabbè non tutti, ma che c'entra, valeva per tutti, come se.

Ma fosse solo per un retaggio storico, non avremmo certo paura. Abbiamo paura del voto russo perché sappiamo, anzi sentiamo, che le autocrazie o finte democrazie o democrazie non-liberali godono di ampio consenso in tanti Paesi, dalla Turchia alla Cina, dalla Russia all'Egitto, dal Venezuela alla stessa Ucraina fino al Vietnam, sì lui, quello della guerra vinta contro l'oppressore americano. E fin qui, turandoci il naso e soprattutto gli occhi, ci potremmo anche stare. Quello che davvero ci terrorizza è che lo scambio tra meno libertà e meno pensieri, meno responsabilità, eserciti un fascino pure tra noi. Una sorta di sindrome del Gigante, pensaci tu, come diceva una vecchia pubblicità per bambini. Appunto.

No, no, per carità, non ci vogliamo nemmeno pensare: i russi avrebbero votato tutti per Navalny, questo è sicuro.

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