"Scomparso un faldone sul Russiagate": l'ultima accusa contro Donald Trump

La Cnn rivela che alla fine della presidenza del miliardario sarebbe sparito un faldone contenente informazioni riservate sull'interferenza russa nelle elezioni americane

"Scomparso un faldone sul Russiagate": l'ultima accusa contro Donald Trump
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Sui legami tra Donald Trump e la Russia si è scritto tanto ma sembrerebbe ancora lontana la verità definitiva sul filo che da Mosca porterebbe dritto sino al miliardario. Ad aggiungere ulteriore mistero alla Russian connection la Cnn ha appena rivelato che al termine della presidenza del tycoon si sarebbero perse le tracce di un faldone di informazioni grezze altamente classificate legate all’interferenza del regime di Vladimir Putin nelle elezioni presidenziali americane del 2016.

Il voluminoso fascicolo conterrebbe dati raccolti dall’intelligence Usa e dai suoi alleati della Nato su agenti dello zar coinvolti in quella che gli 007 sostengono sia stata una “campagna d’influenze” volta a compromettere “l’ordinamento liberale democratico” guidato da Washington. L’allarme per la scomparsa del faldone sarebbe tale che l'anno scorso funzionari della Cia avrebbero informato i leader della commissione Intelligence del Senato sulla sparizione dei documenti e sugli sforzi dell’amministrazione di Joe Biden per ritrovarli. Solo una piccola parte del dossier dell’Agenzia di Langley sarebbe dedicata alla “pista russa” ma includerebbe alcune delle informazioni più sensibili in particolare in merito all’indagine “Crossfire Hurricane” condotta dall’Fbi sulla possibile collusione dell’allora candidato repubblicano con gli uomini di Mosca.

I documenti sarebbero stati visti per l’ultima volta alla Casa Bianca nelle ore finali della presidenza Trump quando il miliardario ne ha decretato la declassificazione, convinto che il contenuto legato all’indagine del Bureau avrebbe dimostrato la sua estraneità alle accuse. Il giorno prima dell’inaugurazione di Biden, sotto la supervisione del capo di gabinetto del tycoon, Mark Meadows, e dei suoi assistenti, vengono quindi create diverse copie del fascicolo con delle sezioni oscurate. Pochi minuti prima del giuramento del nuovo presidente lo stesso Meadows consegna di persona al dipartimento di Giustizia una delle versioni censurate per sottoporla ad un ultimo controllo ma nonostante l'ordine del disrupter in chief tuttora la versione desecretata non è stata ancora rilasciata.

È proprio in quelle ore concitate che sarebbe andata smarrita una versione non redatta del faldone. Secondo quanto dichiarato da Cassidy Hutchinson, una degli assistenti di Meadows, i documenti scomparsi sarebbero in realtà in possesso del suo ex capo il quale li conserverebbe nella sua casa. Una tesi respinta con forza dall’ex capo di gabinetto. La vicenda ricorda comunque in parte lo scandalo delle carte riservate rinvenute nella residenza di Trump a Mar-a-Lago al centro di uno dei processi a carico dell’esponente del Gop.

Sin dall’annuncio della sua candidatura per la corsa alla Casa Bianca nel giugno del 2015, l’ascesa politica di the Donald contro l’allora sfidante del partito democratico Hillary Clinton è stata accompagnata da voci e sospetti su una possibile intromissione dei servizi segreti di Mosca nella campagna per le presidenziali. Tra i più convinti sostenitori della teoria del “Manchurian candidate” c’è John Brennan, l’ex direttore della Cia convinto che i russi abbiano sabotato la campagna democratica per favorire il loro uomo. Putin “potrebbe avere qualcosa” di compromettente sul tycoon, sostiene da anni l’ex capo delle spie Usa.

Una convinzione rafforzata dalle manifestazioni di fiducia espresse in pubblico da Trump nei confronti dello zar e che, alla luce del suo vantaggio nei sondaggi su Biden, torna ad agitare i sogni di non pochi americani. E non solo i loro.

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