Tasse, socialismo e finanza: così i dem scatenano la guerra tra miliardari a New York

Zohran Mamdani, vincitore delle primarie dem a sindaco della Grande Mela divide l’élite della città: c’è chi teme la patrimoniale e chi, tra i ricchi, è pronto a finanziarlo. Ecco perché il cuore finanziario d'America è in subbuglio

Tasse, socialismo e finanza: così i dem scatenano la guerra tra miliardari a New York

È allarme rosso a New York. La vittoria alle primarie democratiche di Zohran Mamdani potrebbe aprire le porte della Grande Mela al socialismo. Il 33enne rampante della nuova sinistra americana ha sganciato una bomba nel cuore finanziario degli Stati Uniti. Mentre i moderati dem e i repubblicani, Donald Trump in testa, si mobilitano per fermare il socialista, il mondo della finanza si inserisce nella contesa in una strana guerra tra paperoni. Sì, perché non tutti i miliardari preparano le barricate, anzi.

Il socialista che agita Wall Street

Nel settembre del 2024 Mamdani si è incontrato con Kathy Wylde in un caffè dalle parti di Lower Manhattan, dove una volta la banca Goldman Sachs aveva la sua sede principale. Wylde è una delle figure più influenti del business cittadino, una da cui tutti i candidati devono passare per lanciare la loro corsa a sindaco. In quella sede, ha raccontato Wylde, Mamdani le avrebbe ribadito di non essere un pazzo anticapitalista con l’obiettivo di nazionalizzare tutto.

Ma il socialista è molto netto quando si parla di soldi. In un’intervista di fine giugno sul tema è stato molto chiaro: “Non penso che dovrebbero esistere miliardari. In questo momento quello di cui abbiamo più bisogno è uguaglianza nella nostra città, nel nostro Stato e nel nostro Paese”. Una guerra ai ricchi simboleggiata da una delle sue proposte, cioè l’aumento delle tasse per chi guadagna più di un milione di dollari l’anno.

Chi lo vota (e perché)

La caccia al ricco non ha però scoraggiato una fetta dei ricchi newyorkesi che si dice pronta ad aiutarlo e votare per lui. Come ha ricostruito il Wall Street Journal, poco meno di un terzo dei più ricchi della città ha votato per lui, e una parte di loro si dice disposta a cedere una parte dei guadagni per avere una città più equa. Questi miliardari sostengono che negli ultimi anni si sia creata una forte disuguaglianza tra i vari strati della città e che questo abbia ridotto il numero di talenti che New York è in grado di attirare.

La banda Mamdani si muove in ordine sparso, perché al di là di intenti morali, ognuno ha obiettivi diversi. Secondo qualcuno l’inesperienza lo renderebbe un sindaco più manovrabile di Eric Adams, primo cittadino uscente, o Andrew Cuomo, ex governatore dello Stato sconfitto alle primarie. Altri ancora sono ottimisti sul fatto che il governo di Albany, che poi detiene il potere sulla tassazione dello Stato, non darà seguito alle proposte più radicali. Alcuni vedono di buon occhio le proposte su trasporti, spesa pubblica e assistenza all’infanzia e sono disposti a turarsi il naso sulla tassazione. Altri ancora apprezzano la sua identità musulmana e asiatica. Tra i supporter pronti con il portafoglio in mano anche gli odiatori di Cuomo che non vogliono rivederlo riabilitato.

Zohran Mamdani
Zohran Mamdani durante un comizio

Alla coalizione pro-Mamdani si aggiungono anche i piccoli imprenditori della città. Tra le sue proposte, ha notato con malignità il Journal, ce ne sono alcune che potrebbero addirittura piacere al popolo Maga, come i tagli alla burocrazia che colpisce le piccole imprese e la liberalizzazione delle licenze per gli ambulanti.

La realtà ovviamente è più complessa. Almeno la metà delle 200 mila imprese è di proprietà di immigrati, molti asiatici. Gran parte di questi, negli ultimi anni, hanno iniziato a lasciare la città per l’eccessivo costo della vita e vedono nel socialista l’unica speranza per renderla più business friendly.

Case, affitti e il grande nodo edilizio

C’è infine un ultimo punto, non banale. La questione edilizia. La proposta più popolare di Mamdani è quella che prevede il congelamento degli affitti. La questione abitativa è quindi centrale. Lo stesso 33enne sa benissimo che non potrà ribaltare il mercato abitativo a colpi di edilizia pubblica. La stessa Wylde ha spiegato come nel suo colloquio con Mamdani sia emerso questo punto: “Sa che la crisi potrà essere risolta con un aumento dell’offerta privata”. E questo vuol dire che servono immobiliaristi.

Chi lo finanzia davvero

Ma quindi chi lo sostiene? Secondo i dati disponibili, tra i finanziatori appare un trader di Jane Street Capital, un manager di Deutsche Bank e diversi dipendenti di Goldman Sachs. Molti sono giovani rampanti del mondo della finenza 20-30enni, arrivati solo da qualche anno nella Grande Mela e desiderosi di incidere negli ambienti che contano.

E poi, ovviamente, c’è il finanziatore dei finanziatori del mondo dem George Soros, che in questo caso non finanzia direttamente il candidato, ma i gruppi che stanno supportando la sua campagna elettorale, come il Working Families Party, piccolo partito di sinistra che negli anni ha ricevuto milioni di dollari dal miliardario di origine ungherese.

Mamdani incassa poi supporto da altri miliardari, finanzieri e manager che però fanno di tutto per restare anonimi. Qualcuno, come un dirigente di banca, ha detto di essere pronto a votare per lui, ma di non poterlo dire pubblicamente per il timore di essere arrestato e deportato dagli Usa.

Mamdani dal canto suo lavora nel suo processo di normalizzazione. Il 15 luglio al Rockefeller Center ha incontrato oltre 100 rappresentanti del mondo finanziario newyorchese in un tentativo di rassicurare il mondo del business. In particolare il socialista ha disconosciuto lo slogan “globalize the intifada” contro Israele, sostenendo di voler scoraggiare un’immagine che giustifichi la violenza contro Israele. Voci dall’incontro hanno parlato di un candidato ricettivo su molti temi, qualcuno ha parlato di un politico con cui lavorare, ma moltissimi sono rimasti scettici su molte delle sue proposte.

Questo strano cortocircuito tra socialisti anti-miliardari e ricchi newyorkesi non dovrebbe sorprendere. Non a caso la città e queste sue contraddizioni hanno ispirato Tom Wolfe nella creazione del termine radical chic nel 1970. Un termine fortunato nato durante un ricevimento vip a casa del compositore Leonard Bernstein durante il quale i ricchi raccoglievano fondi per il gruppo marxista delle Pantere Nere.

La reazione dei potenti e la controffensiva

Eppure tra le vie di New York c’è chi non vuole cedere al vento radical chic. Jamie Dimon, Chief Executive di JPMorgan Chase ha detto apertamente che il 33enne è più un marxista che un socialista, uno che è intriso di ideologia che non ha nulla a che fare con il mondo reale. Da settimane molti miliardari stanno lavorando per creare un network di gruppi che lavorino per bloccare l'avanzata di Mamdani. Un’operazione che potrebbe rendere queste elezioni le più costose di sempre.

È il caso di un nuovo gruppo politico creato all’inizio di luglio e denominato New Yorkers for a Better Future Mayor 25. Un’entità con una dotazione di 20 milioni di dollari che intende intervenire in modo incisivo nella campagna elettorale. Accanto a questo già altri facoltosi si preparano a staccare assegni. È il caso di Bill Ackman, miliardario e gestore di un fondo speculativo, ma anche Rudy Giuliani. L’ex sindaco della città e consigliere di Donald Trump ha in programma di raccogliere con Bo Dietl fondi per 10 milioni di dollari.

In questa guerra tra miliardari il fronte anti Mamdani ha un problema. Il rischio di sprechi. Strateghi repubblicani hanno sottolineato che dopo la vittoria del socialista alle primarie si è aperto un periodo di forte confusione. Manca un messaggio efficace che contrasti le proposte di Mamdani, ma soprattutto manca un candidato unico verso cui indirizzare soldi ed energie.

cuomo adams
Andrew Cuomo (sx) e Eric Adams (dx)

Cuomo, Adams e l’effetto Mamdani

Il campo che si oppone a Mamdani è piuttosto affollato. A destra c’è il repubblicano Curtis Sliwa, già sconfitto nel 2021, candidato del Partito repubblicano che non piace a Trump e che non otterrà il suo sostegno. In mezzo i due indipendenti fuoriusciti dal partito democratico: Andrew Cuomo e Eric Adams. Il primo sconfitto alle primarie, il 15 luglio ha annunciato con un video che correrà come indipendente. Il secondo, dopo un avvicinamento a Trump, ha rotto con il partito democratico dopo un mandato da sindaco pieno di scandali. Nessuno dei due sembra intenzionato a cedere il passo all’altro.

Questa corsa a due divide non poco il fronte dei finanziatori. Cuomo gode del supporto della maggioranza relativa dei miliardari cittadini, ma Adams ha l’appoggio di molti immobiliaristi cittadini. Qualche settimana fa diversi investitori spaventati dalla proposta di Mamdani di congelare gli affitti, hanno tenuto eventi di raccolta fondi proprio per Adams, raccogliendo diversi milioni da Manhattan fino agli Hamptons.

Il tempo però scorre e il braccio di ferro tra Adams e Cuomo

può avvantaggiare Mamdani. Secondo uno degli ultimi sondaggi condotto dall’istituto di sinistra Data for Progress, Mamdani sarebbe avanti con il 40% dei voti, seguito dal 24% di Cuomo, dal 15% di Adams e dal 14% di Sliwa.

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