L’assassinio di Charlie Kirk ha ricordato ancora una volta quanto il mondo (più o meno) libero si trovi in una condizione non proprio rosea. Il punto non è piangere per la morte di qualcuno che la pensa come noi o meno. Si tratta, semmai, di enfatizzare un fatto: in un sistema democratico-liberale sono in gioco più valori e principi egualmente meritevoli di essere rappresentati e discussi. Ora, c’è chi dice che la persona in questione se l’è meritato, veicolando una visione retriva e pericolosa. Altri, per contro, ne fanno un paladino della libertà di pensiero. In maniera molto disincantata, ciò che va prima di tutto rilevato è che, in un paese civile che garantisce il pluralismo delle idee, la violenza non può mai essere accettata. Punto. Non che il conflitto possa mai essere del tutto eliminato. Ma in un sistema democratico-liberale esso viene incanalato entro limiti ben precisi: è cioè istituzionalizzato e neutralizzato, per quanto possibile. Se viene meno questo, c’è un problema, e pure grosso.
Da dove deriva? Le radici potrebbero essere tante. In un bellissimo articolo uscito su “Il Foglio”, Andrea Minuz ha evidenziato un tema fondamentale. E cioè che un luogo che dovrebbe essere la sede per eccellenza per coltivare menti e spiriti critici, ovvero l’università, è diventato un luogo da tempo molto diverso. Non tanto per il conformismo che vi alberga, quanto per l’incapacità di ammettere davvero il pluralismo e praticare una serena discussione. «L’università – si legge nel pezzo – è il luogo dove avere timore delle proprie opinioni»: questo è un problema enorme. E allora, continua Minuz, lasciamo stare la questione delle armi per “spiegare” l’omicidio di Kirk: volgiamo invece lo sguardo alla sede dove più che menti critiche si allevano individui che non vogliono discutere idee, ma combattere per dogmi. Qualche anno fa, Luciano Pellicani scrisse un libro importante fin dal titolo: Cattivi maestri della sinistra (Rubbettino). Forse toccherebbe tornarci sopra.
Un problema che ha rilevato bene anche Giancristiano Desiderio su queste colonne, e in almeno un paio di occasioni. La sinistra italiana – lasciamo stare la destra: un po’ di liberalismo non guasterebbe, ma non si cambia dall’oggi al domani e serve la volontà di studiare un po’ – è rimasta ancora all’inizio del Novecento: nella disputa tra Filippo Turati e Antonio Gramsci è noto chi ha vinto, e si vedono i risultati. Desiderio ricorda un fatto: a sinistra si fa fatica, perché imbevuti di marxismo e anti-liberalismo, a fare i conti con la democrazia liberale, e dunque con la limitazione del potere e il pluralismo.
«In pratica – scrive Desiderio – la mentalità progressista ragiona così: gli altri sono reazionari perché non sono di sinistra mentre noi siamo civili e raffinati perché conosciamo la verità e siamo legittimati a fare tutto per il bene dell'umanità». Ecco. A breve tornerà finalmente disponibile Democrazia e definizioni di Giovanni Sartori. Ripartire da lì non sarebbe male. Per tutti.