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"Deplorevoli? No, sfortunate". Dietrofront (parziale) dell'ambasciata israeliana su Parolin

Il cardinale aveva invitato il governo israeliano a fermarsi e, nella sua replica, la rappresentanza diplomatica di Israsele aveva usato in un primo momento un termine definito come un errore di traduzione

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Si stempera la tensione tra Israele e Santa Sede dopo le parole pronunciate due giorni fa dal cardinale Pietro Parolin a margine del 95esimo anniversario dei Patti Lateranensi. Il segretario di Stato Vaticano aveva parlato di "carneficina" in riferimento alla situazione a Gaza e aveva invocato un'immediata soluzione. Pur ribadendo una "condanna netta e senza riserve" per quanto avvenuto il 7 ottobre, Parolin aveva anche definito la reazione di Tel Aviv non proporzionata. Considerazioni che non erano piaciute affatto ambasciata d'Israele presso la Santa Sede, dalla quale è arrivata una dura replica: "È una dichiarazione deplorevole", è stato il secco giudizio.

Tuttavia, proprio nelle scorse ore, la stessa ambasciata guidata da Raphael Schutz ha dichiarato che il linguaggio era più forte del previsto a causa del modo in cui la dichiarazione originale era stata tradotta dall'inglese all'italiano. "In riferimento al comunicato stampa del 14 febbraio scorso si desidera precisare che il comunicato originale era in lingua inglese e successivamente è stato tradotto in italiano - è la rettifica -. In inglese il comunicato, in riferimento alla parole di Sua Eccellenza il Cardinale Parolin, così recitava: 'It is a regrettable declaration'. Nella traduzione in italiano è stata scelta la parola 'deplorevole' che poteva anche essere tradotta in modo più preciso con 'sfortunata'".

Insomma, sembrerebbe così in qualche modo chiudersi (perlomeno parzialmente) una polemica che aveva provocato più di un imbarazzo in ambito diplomatico. Anche perché la reazione dell'ambasciata d'Israele presso la Santa Sede era sta stata piuttosto dura. Replicando infatti alle affermazioni del Cardinale Parolin sulla proporzionalità delle azioni militari in corso, era stato resi noti da parte israeliana dei numeri che sostenevano che "per ogni militante di Hamas ucciso hanno perso la vita tre civili", mentre nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, "la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista", recitava il comunicato della sede diplomatica. Quindi, si leggeva di nuovo, "la percentuale dell'Idf nel tentativo di evitare la morte dei civili è circa 3 volte superiore, nonostante il campo di battaglia a Gaza sia molto più complicato".

Su queste basi, concludeva l'ambasciata, "qualsiasi osservatore obiettivo non può non giungere alla conclusione che la responsabilità della morte e della distruzione a Gaza sia di Hamas e solo di Hamas. Questo viene dimenticato troppo spesso e troppo facilmente.

Non è sufficiente condannare il massacro genocida del 7 ottobre e poi puntare il dito contro Israele riferendosi al suo diritto all'esistenza e all'autodifesa solo come un semplice atto dovuto e non considerare il quadro generale".

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