Il passato è in casa, la guerra è in casa

Il bilancio dopo 8 giorni di conflitto in Medio Oriente è già tragico

Il passato è in casa, la guerra è in casa
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Il bilancio dopo 8 giorni di conflitto in Medio Oriente è già tragico. In termini non soltanto di vite umane stroncate, una macelleria impressionante da ambo le parti, ma anche di effetti che dal centro della guerra si riverberano su quella che chiamiamo «comunità globale» e che siamo tutti noi, Paesi e popoli, miliardi di esseri umani che abitano il disastrato e bellissimo pianeta Terra. Tale scontro non è solamente quello antico tra israeliani e palestinesi, bensì esso è, innanzitutto, uno scontro di civiltà, quella cristiana e quella islamica, lo scontro del nuovo millennio tra Occidente e Oriente, tra democrazia e tirannide, tra libertà e repressione, tra diritto e faida, tra una cultura che considera uomini e donne uguali e una cultura che si fonda dalla convinzione della inferiorità del genere femminile, di quelle signore che possono e devono essere schiavizzate, sottomesse, violentate, lapidate. E non è quindi un caso che l'attacco terroristico dei palestinesi contro gli israeliani ci abbia talmente scossi che ovunque nel globo siamo scesi nelle piazze, ogni giorno, per esprimere sostegno sia a una che all'altra parte. Nelle piazze si replica tale scontro di civiltà, una occasione anche per difendere le proprie radici, il proprio sistema di valori, la propria visione del mondo.

Attenzione: se i toni sono già (...)

(...) tanto accesi, non si può presagire nulla di buono, se non la sciagura. Il malcontento, il senso di rabbia e frustrazione che alberga nell'animo non di tutti ma di molti immigrati islamici che vivono in Europa, anche e soprattutto quelli di seconda e pure terza generazione, i quali, cresciuti lontano dalle terre di origine ne hanno coltivato una sorta di mito giungendo non di rado a posizioni radicali, rischiano di detonare, accesi da quello che accade in Medio Oriente. Non mi piace lasciarmi andare a ipotesi e pronostici, però qui non si tratta di vaticinare ciò che sarà, ma soltanto di prevedere scenari molto probabili sulla base di quello che già è avvenuto in passato. I segni già si possono leggere: il professore di 57 anni che in Francia, ad Arras, è stato ucciso a coltellate da un ventenne di origini cecene al grido di «Allah Akbar», il quale ha ferito altre due persone prima di essere fermato dalla polizia. Il fratello dell'assassino è stato trovato davanti a un'altra scuola, forse si preparava ad un prossimo attacco? Emblematica la storia di questa famiglia (padre, madre e cinque figli) di immigrati tutti irregolari, che vivono in regime di accoglienza prima e poi entrano ed escono dalla galera, sviluppando un sentimento di odio nei confronti di un Paese, di una comunità, di una civiltà da cui si sentono esclusi, emarginati. Sia chiaro: la colpa non è mica nostra come sostiene la sinistra che ci vorrebbe colpevoli e martiri. Questa gente è migrata in Occidente con il convincimento di andare a vivere nel Paese dei Balocchi, dove avrebbe realizzato ogni sogno dorato, dove avrebbe avuto un futuro felice e luminoso. Ma questo non è realistico. E non perché noi europei siamo sporchi, brutti e cattivi, razzisti e fascisti. Le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, in certi ambiti sociali, sono le stesse che riscontrano i nostri giovani, che, a rigor di logica, dovrebbero essere avvantaggiati, essendo nati e cresciuti qui ed essendo muniti di cittadinanza europea.

L'Europa non è El Dorado. E poi sì, sussiste una problematica di integrazione. Quest'ultima non rappresenta un processo automatico, naturale, facile. Richiede non solo la volontà della società ricevente di accogliere ma anche la volontà di chi entra di rispettare usi, costumi, leggi, abitudini. E spesso questa volontà è del tutto assente. Le comunità di immigrati islamici vivono soprattutto chiuse, accettano solo le loro regole, quelle del Corano, ci considerano infedeli, inferiori, impediscono alle loro figlie, nate e cresciute sul nostro territorio, di essere e di sentirsi occidentali, di vestire all'occidentale, le sottraggono all'istruzione, negano loro quei diritti essenziali che sono fondamento delle nostre democrazie.

Dunque, l'integrazione fallisce. E se fallisce l'integrazione il pericolo di estremismo si accentua, lievita, cresce, esplode.

E il proselitismo cattura quei giovani che, per essere, per esistere, cercano il loro riscatto, il loro momento di gloria, di essere parte di qualcosa, fosse anche di una guerra che viene combattuta al di là dell'Europa. E il terrore islamico divampa. Divampa in ogni dove in questo conflitto non convenzionale dove non si scontrano due eserciti ma due civiltà.

La guerra che osserviamo sullo schermo è ovunque. Anche in casa nostra.

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