Solidarietà prêt-à-porter: indossare Gaza senza indossare se stessi

La kefiah come simbolo obbligato della solidarietà divide gli attivisti: tra contraddizioni con i diritti LGBTQ e derive folkloristiche, la Flotilla appare più un cosplay politico che una missione umanitaria

Solidarietà prêt-à-porter: indossare Gaza senza indossare se stessi
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Ma perché si è attivisti sempre con la kefiah? Come se fosse il lasciapassare obbligatorio per entrare nel club della solidarietà. Anche la femminista Michela Murgia, ve la ricordate? Incontrava una donna islamica e si metteva il velo, “per rispetto” (di cosa, di un velo che è simbolo di una cultura patriarcalissima?).

Non basta dire “sono con voi”, devi anche travestirti da palestinese prêt-à-porter, con la sciarpa annodata in testa come nei tutorial di Instagram. Fino a qui uno potrebbe pensare: folklorismo. Tuttavia ricorderete anche voi quando, pochi giorni fa, a bordo di una flottilla diretta a Gaza, è scoppiato il dramma per la presenza di un attivista LGBTQ: qualcuno ha lasciato l’organizzazione indignato, qualcun altro ha denunciato che quell’identità era stata nascosta, e la missione umanitaria si è trasformata in un processo alle intenzioni.

Non è un dettaglio, è la rappresentazione di una contraddizione (per carità, ce ne fosse solo una, in giro, saremmo all’Illuminismo): indossi il simbolo, la kefiah, di culture che in gran parte del Medio Oriente criminalizzano l’omosessualità e in certi casi con pene detentive e in altri con la pena di morte, e nello stesso tempo escludi proprio chi incarna quelle comunità LGBTQ che in Europa sbandieri senza problemi (meno male).

Questa notte insonne, tra un libro e l’altro, tra una serie e l’altra, tra una partita a Call of Duty e l’altra, tra uno Xanax e l’altro, nella mia vita di occidentale moderno perfetto, guardavo le immagini dell’arresto di Greta Thunberg a bordo della flottilla da parte dei militari israeliani: con la kefiah al collo e un cappellino verde con le orecchiette: l’icona ambientalista come se per ogni battaglia servisse un costume sempre più riconoscibile, un accessorio da ricondividere. (Va da sé la mia contrarietà resta totale all’arresto in acque internazionali di chi stava portando aiuti umanitari, non c’è giustificazione plausibile per fermare una nave con intenzioni umanitarie in mezzo al mare come fosse un pirata e non un convoglio civile).

Tra l’altro, quanto allo sciopero generale di domani in Italia, resta da capire se l’obiettivo sia sensibilizzare o desensibilizzare: perché dubito che Netanyahu interrompa un briefing per commentare che a Milano la 90 non passa o che a Roma l’autobus salta tre corse, mentre gli italiani percepiranno benissimo solo questo, l’ennesimo disservizio scollegato dalla causa, la solidarietà ridotta a ritardo del mezzo pubblico.

Per la cronaca, tornando alla kefiah siccome oggi mi sono fissato sulla kefiah: a Gaza l’omosessualità maschile è ancora oggi un reato (fino a dieci anni di carcere secondo il codice del Mandato britannico), in Cisgiordania non è vietata ma lo stigma resta. In Iran, Yemen, Arabia Saudita e altri Paesi è prevista la pena capitale, in Iraq dal 2024 sono arrivate condanne fino a quindici anni di carcere (e non sono solo paesi islamici: criminalizzano l’omosessualità anche diversi Stati africani a maggioranza cristiana, tra cui Uganda, Zambia, Malawi, Kenya…).

Insomma, se vuoi portare solidarietà, portala come sei, non c’è nessuna regola che imponga di travestirsi da palestinese per essere credibili (anche perché ci stai andando da occidentale, altrimenti non ci andresti), così come non ci travestiamo da tibetani per denunciare la Cina, se sei queer vai come queer, se sei europeo vai come europeo (e non è che i bianchi che hanno solidarizzato con le cause per gli afroamericani si dipingevano la faccia di nero, oltretutto è reputato offensivo), se sei ateo vai come ateo, come appunto portatore dei valori occidentali, della Convenzione di Ginevra (non esiste un costume da Convenzione di Ginevra infatti). Altrimenti rischia di sembrare un carnevale ideologico, una flottilla che dovrebbe portare aiuti umanitari trasformata in una gita scolastica in cui ci si litiga sui costumi di scena, come fosse un cosplay politico.

A meno che si sposi l’abito di tutto ciò che è antioccidentale, e però se sono così antioccidentali dovrebbero sapere che la libertà come la concepiamo oggi è nata in Occidente, senza kefiah. Oh, poi per quanto mi riguarda mettetevi in testa quello che volete, non mi cambia niente.


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