
da Roma
«Lavoriamo a un'intesa, altri scenari sono insensati». Mentre tra Europa e Stati Uniti la trattativa sui dazi procede a oltranza e i tecnici della Ue oggi sono attesi a Washington per negoziare nel dettaglio dei singoli settori produttivi, Giorgia Meloni ribadisce che l'unica strada è quella di fare il possibile per risolvere la questione attraverso il dialogo. Una posizione al momento sostenuta da buona parte dei Ventisette stati membri, compresa l'Austria del cancelliere federale Christian Stocker che ieri è stato in visita a Palazzo Chigi. «Siamo d'accordo sul fatto che occorra scongiurare in ogni modo una guerra commerciale fra le due sponde dell'Atlantico e, con gli altri leader e in costante contatto con la Commissione europea, continueremo a lavorare per arrivare a un accordo che deve essere concluso prima del primo agosto ed essere vantaggioso per tutti», spiega Meloni nel corso delle dichiarazioni alla stampa che seguono al bilaterale. Insomma, avanti con i negoziati perché, aggiunge, «per me l'obiettivo è rafforzare l'Occidente nel suo complesso rafforzando le economie» e «nell'attuale contesto tutti gli altri scenari sarebbero insensati».
Non casualmente, Meloni ci tiene a sottolineare come ogni mossa sul fronte dei negoziati sia fatta «in costante contatto» con Bruxelles. Parole dette con un occhio alla Lega, che da giorni attacca Ursula von der Leyen e insiste sul fatto che l'Italia dovrebbe trattare one to one con gli Stati Uniti. E con l'altro alla missione americana di Antonio Tajani, che ieri a Washington ha incontrato il segretario di Stato Marco Rubio. Un faccia a faccia nel quale si è parlato a lungo di Ucraina, Medio Oriente e, ovviamente, dazi. Fronte sul quale il vicepremier spiega di aver «ricevuto rassicurazioni per la parte politica». «Rubio non è il titolare» della questione delle tariffe, spiega Tajani, ma «una guerra dei dazi non conviene a nessuno». È per questo, aggiunge il ministro degli Esteri, che «vogliamo accelerare» il negoziato, perché «l'incertezza crea grandi difficoltà a chi fa impresa».
Si lavora, insomma, a un punto di caduta di reciproca soddisfazione. Anche se va detto che tra i dazi al 10% a cui puntava l'Ue e il 30% proposto da Donald Trump c'è una differenza abissale. Come si evince chiaramente dalle parole del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. La soglia del 10%, spiega, «era ragionevole» e «non si può andare molto lontano da questo numero altrimenti la situazione diventa insostenibile». Insomma, dalle interlocuzioni avute con gli operatori di settore, Giorgetti si è fatto la convinzione che con dazi al 10% (come per il Regno Unito) «distributori, produttori ed esportatori possono riuscire a stare dentro», ma se si va lontano da quel numero «diventa impossibile e i mercati si perdono inevitabilmente».
Intanto, sia alla Camera che al Senato i capigruppo delle opposizioni - dal Pd al M5s, passando per Azione, Italia viva, +Europa e Avs - chiedono che sulla questione Meloni riferisca in Parlamento e la accusano di sottrarsi al dibattito. «Il governo non è mai scappato e non ha intenzione di scappare», replica Luca Ciriani.
«Sui dazi - aggiunge il ministro per i Rapporti con il Parlamento - tutti sappiamo che è in corso un'interlocuzione molto forte tra governi nazionali, Ue e Usa. Il governo lavora, lavora in silenzio, e riferirà alle Camere a tempo debito».