Coronavirus

Altro che decreto pronto. Il governo in alto mare litiga ancora sui fondi

A quattro giorni dall'annuncio, M5s blocca il pacchetto di misure a favore delle imprese

Altro che decreto pronto. Il governo in alto mare litiga ancora sui fondi

A tarda sera, ieri, il «poderoso bazooka» del decreto liquidità, annunciato urbi et orbi da Giuseppe Conte da due giorni, non esisteva ancora.

Perché? È semplice: Gigino Di Maio (non si capisce a che titolo, essendo lui sulla carta il ministro degli Esteri) vuole intestarsi il controllo dei finanziamenti per le imprese, per ragioni tutte politico-elettoralistiche. E quindi ha mandato all'aria la faticosa mediazione che attribuiva - ragionevolmente - al ministero dell'Economia il ruolo principale di supervisione su Sace, il braccio di Cdp che dovrebbe gestire i flussi di denaro.

Di fronte ai capricci dell'ex capo del partito casaleggese, il premier è andato nel panico, e il decreto si è arenato mentre a Palazzo Chigi si riunivano per ore prima gli sherpa e poi i protagonisti: Conte, Roberto Gualtieri e Gigino. A ora di cena le solite «fonti di governo», alias Rocco del Grande Fratello, facevano sapere che «tutto è risolto» sul ruolo di Sace, e che l'esecutivo conferma «la linea dura» in Europa: «No al Mes, sì al coronavirus». Un lapsus terrificante, e tutto sommato assai rivelatore.

Nel corso delle ore, mentre il Colle attendeva ancora il testo da firmare, venivano fornite le giustificazioni più diverse per il mancato varo del decreto scomparso, prima tra tutte: «Dobbiamo attendere le conclusioni dell'Eurogruppo, per capire quali saranno effettivamente i fondi a disposizione».

Eppure lunedì sembrava tutto fatto, con grandi squilli di tromba. La conferenza stampa notturna, i toni solenni, lo scialo di aggettivi. L'uso e abuso delle maiuscole e del termine «storia».

«È l'intervento più poderoso nella storia del Paese», aveva detto l'azzimato premier Giuseppe Conte, durante la cena di lunedì, facendo capolino per l'ennesima volta sugli schermi tv degli italiani. «Una potenza di fuoco enorme, mai stata presa a mia memoria», che agevolerà «una nuova primavera», in cui «raccoglieremo i frutti dei nostri sacrifici», perché in fin dei conti «la Storia è con noi». E con il suo spirito.

Sta di fatto però che ieri, mercoledì, a quarantotto ore dalla apparizione di Conte che annunciava al popolo l'ormai prossimo diluvio di 400 miliardi (di cui 200 affidati alla gestione di Gigino Di Maio, se no non se ne usciva), del «poderoso» decreto liquidità si erano perse le tracce. Nei ministeri il testo non era ancora arrivato: «Nessuno lo ha visto», ammettevano ieri pomeriggio dal Pd.

Al Quirinale, dove il provvedimento era atteso per la firma (con successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), era stato preannunciato inizialmente per la mattinata di martedì, a dodici ore dall'esibizione tv di Conte. Ma niente. Successivi contatti tra Colle e governo spostavano la dead line al pomeriggio di martedì. Poi alla sera. «E meno male che il presidente Mattarella, essendo palermitano, non va mai a letto presto», sospiravano dall'entourage. Alla fine, il capo dello Stato è andato a letto senza decreto. E si è svegliato ieri mattina senza decreto.

Nel pomeriggio di ieri, ancora in assenza di segnali di vita sul fronte decreto, si diffonde una voce: il governo sta aspettando l'esito dell'Eurogruppo, per «calibrare» meglio le cifre del «bazooka». A sera Palazzo Chigi giurava al Quirinale che «in un paio d'ore» avrebbero avuto il testo». Intanto Di Maio litigava ancora con Gualtieri. Alle 21 al Quirinale arrivava solo il decreto scuola della confusa ministra Azzolina. «Ma più tardi arriva anche il dl Liquidità», giuravano dal governo.

E Mattarella si preparava a fare le ore piccole.

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