Banche, 2016 da brividi: fusioni e fondi esteri con la mina sofferenze

Nonostante l'ottimismo del premier che non vede rischi di sistema, gli esperti hanno qualche dubbio La grana dei 200 miliardi di crediti deteriorati

Banche, 2016 da brividi: fusioni e fondi esteri con la mina sofferenze

«Non c'è un rischio sistemico per le banche italiane: sono molto più solide che in altri Paesi, nemmeno sotto pagamento cambierei il nostro sistema ad esempio con il sistema tedesco».Appuntiamoci su un post-it le parole pronunciate ieri dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Per rileggerle fra un anno. Perché quei «gufi» degli economisti, come li chiamerebbe il premier, vedono pochi arcobaleni e parecchie nuvole nel cielo del sistema bancario italiano. Vediamo perché, punto per punto.

Che sofferenza

Le casse delle banche sono ancora gravate dal peso di 200 miliardi dei famigerati Npl (non performing loans), ovvero i prestiti ritenuti ormai difficilmente recuperabili, che sono in carico a circa il 45% del loro valore nominale mentre il mercato è disposto ad acquistare a circa il 20 per cento. Significa che se fossero vendute tutte insieme il sistema ci rimetterebbe attorno ai 50 miliardi. Intanto un terzo delle sofferenze bancarie dell'Eurozona proviene dagli istituti italiani. La mega bad bank annunciata a più riprese dal governo Renzi (ma snobbata e respinta per anni, se ne parla dal 2008) è stata mandata in panchina dal cartellino rosso della Commissione Ue e probabilmente lì rimarrà non solo per colpa di Bruxelles. Un'occasione perduta per alcuni, una questione quasi di sopravvivenza per altri che nel veicolo finanziario incaricato di ripulire le banche acquistandone i crediti in sofferenza avevano riposto le speranze di una «pulizia» di bilancio più veloce e comunque garantita.

Nuovi sceriffi

Il mondo del credito deve fare i conti con le nuove regole sul bail-in e con i controlli più stringenti della vigilanza unica europea. Il gioco si fa duro, ma saranno abbastanza dure le banche per cominciare a giocare? Fino a oggi il sistema bancario italiano ha sempre cercato di salvare se stesso anche chiedendo un aiutino allo Stato, si pensi ai Tremonti e Monti bond del Monte dei Paschi. Un paracadute che non potrà più essere aperto in futuro. Mentre le banche sane che si sono autotassate di 3,6 miliardi per salvare le 4 piccole malate si ritroveranno a pagare il conto nelle trimestrali di fine anno.

Matrimoni combinati

Le banche italiane sono troppe, serve un consolidamento del settore peraltro invocato da tempo dalla Bce di Mario Draghi. Lo stesso decreto sulle popolari varato dal governo Renzi a febbraio di quest'anno era la risposta all'appello di Francoforte. Il risiko fra gli istituti coinvolti dalla riforma non è ancora partito, vanno trovati gli equilibri giusti in termini di governo societario (leggasi, poltrone) e intanto il tempo passa. Poi ci sono banche come Mps che per uscire definitivamente dal tunnel devono trovare un cavaliere bianco, preferibilmente straniero, disposto a sposarle nonostante il loro passato chiacchierato.

Occhio agli stranieri

Le banche italiane dovranno difendersi anche dall'invasione di nuovi concorrenti come Apple, Amazon e Google che puntano a rubare spazio (oltreché ricavi e clienti) sul campo dei sistemi di pagamento, dei prestiti a privati e imprese sfruttando la capacità di gestire comunità enormi attraverso il commercio elettronico o dall'uso innovativo della tecnologia web.

Parlano straniero anche gli azionisti che terranno banco nelle assemblee del 2016: grandi fondi americani, arabi e cinesi, entrati con quote importanti nel capitale delle banche (anche nelle big come Intesa e Unicredit) che ora sono pronti ad alzare la voce sulla governance e sulla gestione per valorizzare il loro investimento.

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