Europa

La lezione della Meloni agli euro-bulletti

Il premier nega il grande freddo con la Francia e l'isolamento dell'Italia

Il bilancio di Meloni: "Grande vittoria. Non c'è un'Europa di serie A o serie B se il Titanic affonda"

Basta nominarlo, Emmanuel Macron, che lei subito si accende. «Non ho approvato un atto politicamente sbagliato. Dovevo dirlo, l'ho detto, lo ridirei». Ma, giura, non è calato il gelo con la Francia, non si è rovinato il Consiglio Europeo, non si è infuriata per il mancato invito all'Eliseo con Sholtz e Zelensky. «A Parigi c'erano due presidenti europei e ne mancavano 25. Non mi interessa di apparire in una foto che non condivido». E non si tratta, insiste Giorgia, nemmeno di «una questione di rapporti personali, perché quelli si aggiustano in cinque minuti. Non siamo in terza elementare». Semmai il problema è ancora più grave. Strutturale. «L'Unione non può essere un club in cui c'è chi conta di più e chi di meno. Quando si dice che la Ue ha una prima, una seconda e una terza classe, vale la pena ricordarsi del Titanic. Se una nave affonda, non conta quanto hai pagato il biglietto».

Il giorno dopo la Meloni è ancora piuttosto su di giri. Per lei il tema del momento non è il grande freddo tra due capitali amiche, e neanche l'isolamento italiano. «Ricostruzioni provinciali. In passato forse era sufficiente entrare in una fotografia per sentirsi protagonisti, noi oggi siamo abbastanza centrali il Europa da poter e dover esprimerci su qualcosa che non ci trova d'accordo». Le relazioni bilaterali, in un modo o nell'altro, si aggiusteranno, i progetti comuni andranno avanti. Nei prossimi giorni il sistema congiunto Italo-francese Stamp-T partirà regolarmente per Kiev. E i missili? Chissà, «dipende dagli equilibri internazionali».

E anche il vicepremier Matteo Salvini, ieri, ha voluto mostrarsi solidale. «Ho sentito Giorgia Meloni; se riusciamo a portare a casa una sveglia in Europa sul tema dell'immigrazione bene. Devo dire però che un certo atteggiamento di spocchia da parte di Macron è incomprensibile».

Non è stato un vertice facile, le facce sono segnate, le polemiche hanno aperto ferite. «Non è semplice per nessuno di noi - sostiene la premier - gestire l'Ucraina con l'opinione pubblica, gli aiuti giusti che forniamo non sono la cosa migliore sul piano del consenso».

Chissà se lunedì il braccio di ferro con Macron pagherà nelle urne delle regionali. Però intanto, dice, il sostegno a Kiev e doveroso. «La posizione italiana è estremamente chiara e coerente, il nostro impegno a 360 gradi riguarda il fronte finanziario, civile e militare, a sostegno della causa della libertà». Con la riunione di giovedì a 27 più Zelensky «si è data un'immagine di compattezza, abbiamo ribadito che rimarremo al loro fianco per tutto il tempo necessario». A Parigi invece... «Iniziativa inopportuna», ripete.

E con il presidente ucraino, dopo un pomeriggio complesso dal punto di vista diplomatico e un incontro messo su in fretta, tutto bene. «Ho ribadito la disponibilità dell'Italia, oltre a quella dell'intero Consiglio europeo. Zelensky tiene alla nostra presenza a Kiev e mi ha nuovamente invitato, stiamo vedendo come organizzare». Meloni lo avrebbe voluto al Festival di Sanremo, «la sua presenza sarebbe stata importante», e apprezza che abbia spedito una lettera. «Mi dispiace per la polemica che si è creata. È sempre difficile fare entrare la politica in una manifestazione canora, anche se poi entra comunque ogni volta».

Sugli altri punti in agenda la premier si mostra soddisfatta. Gli aiuti di Stato alle imprese, ad esempio. In questo quadro domandare «più flessibilità non significa dirottare i fondi della coesione in un altro comparto, ma capire se si possa costruire uno spazio fiscale per spingere la competitività». Anche qui, per l'Italia non può esistere serie A e serie B. E sul rinnovi del Patto di stabilità, riecco la Meloni draghiana: «Vorremmo che si tengano in conto gli investimenti, perché il modo migliore per rendere sostenibile il debito e la crescita».

Infine i flussi. «Mi sembra che ci siano stati sviluppi sulla concretezza. Un conto è dire che l'Europa aiuterà l'Italia, un altro avere un piano». Certo, il piano è ancora una scatola vuota. «Sulle Ong c'è un tavolo che non ha mai lavorato. Va implementato il programma sul Mediterraneo centrale. Sono stati spesi sei miliardi con la Turchia, bisogna fare altrettanto con l'Africa». In conclusione. «È il momento di stabilire che non possono essere i criminali a fare la selezione d'ingresso in Europa, chi ha tremila euro si e chi non ce l'ha resta a casa.

La dobbiamo fare noi».

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