
Non è solo un leader "in pectore" con 23 anni di galera sulle spalle. È soprattutto una bomba innescata capace di minare il piano di pace proposto da Donald Trump. O amplificarne la portata avviando una sfida politica che Israele teme di non controllare. Per questo il governo Netanyahu ha immediatamente cancellato il nome del 65enne Marwan Barghouti dalla lista di 250 ergastolani che Hamas chiede di liberare assieme ai 1.750 palestinesi fatti prigionieri a Gaza negli ultimi due anni.
Per capire perché Marwan non sia un detenuto come gli altri bisogna tornare all'autunno del 2000. In quei mesi la Seconda Intifada riaccende gli scontri tra esercito e militanti palestinesi innescando una micidiale sequenza di attentati suicidi firmati non solo da Hamas, ma anche da alcune componenti di Fatah, l'organizzazione guidata al tempo da Yasser Arafat. Alla testa dei "tanzim" - i militanti di Hamas sempre in prima linea negli scontri con l'esercito - c'è al tempo Marwan Barghouti. Ma Marwan non è solo l'uomo delle pietre, delle molotov e dei kalashnikov. È anche il fautore di una svolta politica poco in linea con la fedeltà assoluta pretesa da Arafat. Per Marwan la violenza nelle piazze ed il terrorismo sono la premessa di un'intesa politica tra Hamas e Fatah e la nascita di un governo di unità nazionale alla testa dell'Anp. Una visione osteggiata come la peste dallo Shin Bet e dai governi israeliani sempre pronti ad alimentare le divisioni tra Hamas e Fatah all'interno della galassia palestinese. Il problema sembra risolto nell'aprile 2002 quando Barghouti viene arrestato e condannato a svariati ergastoli per altrettanti omicidi di cui continua a dichiararsi innocente. La vittoria elettorale di Hamas a Gaza nel 2006 seguita nel 2007 dalla cacciata di Fatah dalla Striscia sono l'inizio di una parabola che trasforma Barghouti nel leader simbolo di giovani e vecchi palestinesi. Un leader disposto a patire il carcere mentre i politici corrotti dell'Anp si dimostrano indifferenti alle richieste del proprio popolo e stringono accordi con Israele. Un leader capace di contrapporsi alle divisione interne pretendendo da Hamas e da Fatah un comune percorso politico nel solo interesse di un futuro stato palestinese. Tutti elementi che, complice la forzata impossibilità di un confronto con il mondo reale, trasformano Marwan in una figura politica dall'incredibile potenziale.
Anche perché se rimesso su piazza il 65enne Marwan potrebbe facilmente scalzare il novantenne Abu Mazen ridotto al ruolo di fossile presidenziale dell'Anp e prendere in mano il governo della Cisgiordania. E, quel che fa più paura a Israele, rilanciare l'idea di un governo di unità nazionale con i leader di Hamas rimasti a nella Striscia. Leader che nei piani di Netanyahu e dei suoi ministri possono sopravvivere solo in cambio della rinuncia a qualsiasi attività politica. Ma a far paura contribuisce anche la prospettiva opposta. Ovvero il timore che Marwan rinunci all'alleanza con Hamas, ma usi il sostegno popolare di cui gode per rilanciare l'immagine assai offuscata di Fatah e dell'Anp.
Contribuendo con il proprio carisma e la propria azione a realizzare quel progetto di Stato Palestinese che Netanyahu ha, non a caso, fatto cancellare dai venti punti del piano Trump. Un'idea che se issata sulle spalle di un potenziale Mandela palestinese rischierebbe di aprire una nuova quanto imprevedibile fase conflittuale.