
Ha superato le 16mila firme su Change.org la petizione lanciata dall'associazione Russi Liberi per fermare il concerto di Valery Gergiev alla Reggia di Caserta, previsto il 27 luglio per il festival Un'estate da Re. L'invito della Regione Campania al direttore d'orchestra più controverso del momento ha scatenato un pandemonio: proteste, lettere indignate, e una richiesta di inchiesta sull'uso dei fondi pubblici.
Oltre 700 firme tra cui premi Nobel e personalità del mondo culturale sono finite in una lettera a Ursula von der Leyen e al governatore Vincenzo De Luca. La Commissione europea ha preso posizione: "I palcoscenici europei non dovrebbero ospitare chi sostiene la guerra di aggressione contro l'Ucraina". Le istituzioni italiane, intanto, si dividono: la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno parla di "ferita inaccettabile", Tajani ricorda che Gergiev ha cittadinanza olandese e libertà di circolazione. Ma dissente. Educatamente. Gergiev, va detto, è direttore geniale, con interpretazioni che hanno segnato la nostra epoca. Lo sanno bene gli orchestrali, che al solo sentirlo nominare si illuminano. La sua ultima apparizione in Occidente risale al 23 febbraio 2022, alla Scala: il giorno prima dell'invasione dell'Ucraina. Poi, la valanga. Festival, contratti, teatri: tutto cancellato da New York a Monaco. Bandito.
In tutto questo gran putiferio non si chiarisce mai un punto: in Russia la musica è da sempre tenuta in altissima considerazione, e il legame tra i migliori musicisti e lo Stato è sempre stato stretto. Gergiev dirige i due principali teatri d'opera e balletto statali, mentre il Cremlino valorizza le figure di punta della cultura russa ospitate in tutte le cerimonie ufficiali. Basti pensare al Concorso musicale ajkovskij, il numero uno al mondo, che Vladimir Putin ha più volte definito patrimonio nazionale e che si apre regolarmente con un suo telegramma di saluto. È così che funziona nel bene e nel male il sistema artistico russo. Da noi si chiudono orchestre e corpi di ballo; da loro continuano a nascerne a getto continuo.
L'Italia è stata la prima a bandire Gergiev, ora è il Paese che rompe il tabù. Una cosa è certa. Se il concerto si farà, passerà alla storia. Se salterà, pure. Nel frattempo, sui social circolano immagini di una produzione del Bolshoj istituzione ora diretta da Gergiev che inscenerebbe la "liberazione del Donbass". Se vere, sono inquietanti. Ma servirebbe un fact-checking.
Resta il nodo: può un artista geniale ma politicamente controverso esibirsi in pubblico in una democrazia? Tra melomani e orchestrali, ovvero gli unici francamente interessati al concerto del 27, la risposta è sì. "Abbiamo perso tre anni di grande musica russa" è il mantra, solo sussurrato dati i tempi di sospetti incrociati. Le opinioni di Gergiev non cancellano il suo valore artistico né il diritto del pubblico a farsi un'idea.
Caserta è diventata, suo malgrado, il simbolo di un cortocircuito più ampio: tra etica ed estetica, tra cultura e geopolitica, tra libertà artistica e legittimazione politica.
Spiace solo che la grande arte finisca sotto i riflettori in simili circostanze e che di questa grande arte, spesso ignorata, si mettano improvvisamente a parlare tutti. Anche conduttori radiofonici che, in un'ora di trasmissione, non riescono a pronunciare correttamente il nome Gergiev: segno inequivocabile che non sanno chi sia (si pronuncia: Gherghief)