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Burocrazia e cartelle pazze: tutti i "buchi" del sistema

Pressione fiscale monstre al 43,8%. Aziende e autonomi sacrificano un mese all'anno per gli adempimenti

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Se il Fisco non può essere un «amico», per lo meno ci si aspetterebbe che non fosse un nemico invincibile. E invece, in Italia, è un mastodonte burocratico che richiede una media di 238 ore l'anno per dare corso a tutti gli adempimenti fiscali. Il dato, citato da una nota di Federcontribuenti, arriva dalle rilevazioni della Banca mondiale e si confronta con le 82 richieste dall'Irlanda e le 139 della Francia. In pratica, in ore lavorative, è come se un imprenditore o un professionista dovesse smettere di lavorare per un mese solo per pagare le tasse. Una macchina che ha generato oltre 1.100 miliardi di crediti per il Fisco, di cui soltanto una piccola parte ormai è realmente esigibile. Si tratta di un stock di crediti non riscossi di oltre vent'anni.

Ma alle difficoltà di un sistema farraginoso, si aggiunge anche la tenaglia di una pressione fiscale elevatissima che, secondo il Centro studi della Cgia di Mestre, ha raggiunto 43,8% del Pil nel corso del 2022. Di quasi dieci punti superiore al 34,1 della media tra i Paesi Ocse, in base ai dati 2021.

Un elefante difficile da sfamare che, tuttavia, quando si tratta di riscuotere le cartelle diventa una tigre. «Quando scatta il recupero coatto uno degli aspetti più devastanti è il blocco del conto corrente», spiega a Il Giornale Vincenzo Tagliareni, direttore generale di Federcontribuenti, «Se a un imprenditore blocchi il conto corrente non gli permetti di lavorare». In pratica, se il contribuente non adempie al saldo del suo debito fiscale entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale può andare incontro al blocco del conto corrente per una somma pari all'ammontare del debito. E questo, soprattutto per chi deve pagare le cifre più grandi, può voler dire il blocco totale dell'attività. Secondo Tagliareni, l'ultima rottamazione delle cartelle non andava sufficientemente incontro alle esigenze dei contribuenti: «Sarebbe stato meglio avere la possibilità di pagare il dovuto non in 18 rate, ma perlomeno in 72, e non richiedere il 20% della somma subito nelle prime due rate».

Chi lotta ogni giorno con il Fisco italiano sono i commercialisti: «Il nostro Fisco è complicato e non dà tempi certi», spiega il presidente dell'associazione nazionale commercialisti, Marco Cuchel, «senza queste condizioni non si riesce a dare una consulenza efficace al contribuente. Noi da tempo chiediamo di avere circolari e istruzioni dall'Agenzia delle Entrate entro il 31 gennaio, per poi avere fino al 30 giugno per chiudere i bilanci e valutare le imposte». Quest'anno, denunciano i commercialisti, le ultime istruzioni che riguardano gli indicatori sintetici di affidabilità fiscali, su cui si basano il 90% delle dichiarazioni delle partite Iva, sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 18 maggio. E il 18 giugno «l'Agenzia delle Entrate ha fatto uscire tre circolari di 572 pagine dove dava indicazioni su come operare deduzioni e detrazioni» da leggere «entro il termine del 30 giugno», osserva Cuchel.

Un sistema così rende più facile commettere errori. E la stessa Agenzia delle Entrate non ne è esente con milioni di cartelle pazze - con richieste di pagamento per tributi già pagati o prescritti o già sgravati da provvedimenti del giudice. «Molte sono frutto degli studi di settore (oggi Isa, ndr) e sono tutti debiti presunti», spiega Tagliereni, «Sentenze alla mano, però, i casi che abbiamo seguito come Federcontribuenti si concludono nell'80-90% dei casi con una vittoria nei ricorsi mossi dal contribuente».

Far valere le proprie ragioni, però, per il contribuente non è gratis e la Pa non paga mai le sue inefficienze: «Arrivano avvisi bonari e rate che creano un disagio al contribuente, che poi deve appoggiarsi a un commercialista per ricostruire la cosa e sanare la pratica», dice Cuchel, «La Pa deve rispettare i tempi per istruzioni e circolari e, se sbaglia, deve farsi carico degli oneri».

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