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È caos doppio cognome. "Qui serve una legge"

Esperti di diritto scettici sulla sentenza della Consulta. Che ora chiede una norma ad hoc

È caos doppio cognome. "Qui serve una legge"

Anche all'ultimo degli studenti di Giurisprudenza era, fin da subito, apparso chiaro come la sentenza «pseudo-progressista» della Consulta sul «diritto» del neonato «ad avere i cognomi di entrambi i genitori» avrebbe creato più problemi «pratici» di quanti ne ambisse a risolvere sul piano «ideologico» della «parità fra padre e madre». E qui scatta il primo cortocircuito, di carattere logico ancor prima che di ordine normativo. La domanda è infatti banale: com'è possibile che l'insormontabile controindicazione del rischio «moltiplicazione del cognome» nel passaggio di generazione in generazione sia stata sottovalutata dalla Corte costituzionale? Due le possibili risposte: 1) i giudici pronunciatisi sul caso di specie hanno «sbagliato»; 2) i giudici sapevano benissimo ciò che hanno fatto (compresi gli enormi problemi che la loro sentenza avrebbe determinato), ma in nome del politicamente corretto non potevano fare altrimenti. Escludiamo - a naso - la prima opzione, privilegiando nettamente la seconda. Peccato che adesso, dopo gli unanimi e trasversali applausi dello scorso 29 aprile (data in cui fu proclamato il «democratico» verdetto che «sanava finalmente la storica disparità fra il prevalente cognome paterno e il soccombente cognome materno»), i nodi vengano al pettine e si comincino a comprendere gli effettivi paradossi di quella «sentenza rivoluzionaria». Tanto che la medesima Consulta è costretta a chiedere aiuto al legislatore per «mettere ordine» nella materia che lei stessa ha complicato pur di compiacere - tra gli applausi generali - un malinteso senso di uguaglianza uomo-donna, anzi padre-madre. Eppure sarebbe bastato leggere il commento a caldo dei giuristi - ad esempio quelli del Centro Studi Rosario Livatino - per capire come quella standing ovation sociale e politica era solo un battimano demagogico del Centro: «La decisione della Corte costituzionale sull'attribuzione di entrambi i cognomi, può astrattamente condividersi ai fini della piena equiparazione delle figure genitoriali, ma occorre domandarsi se la riforma sia davvero necessaria per la tutela dell'identità dei figli o se, piuttosto, risponda a esigenze dei soli adulti. Restano in ogni caso problemi di carattere pratico su cui è opportuno riflettere, e che non sembrano trovare soluzione nei disegni di legge attualmente in esame in Parlamento». Capito? La pantomima del doppio cognome risponde più alle «esigenze dei soli adulti» che ai reali interessi dei piccoli. I quali, una volta cresciuti, e diventati a loro volta genitori con sulla carta di identità due cognomi, si troveranno nell'assurda situazione di dover/poter appioppare sul groppone dei figli otto cognomi, «raddoppiabili» nella generazione successiva. E così via in una tragicomica catena onomastica di Sant'Antonio. Ovviamente ciò sarebbe improponibile, ed infatti su questo aspetto la Consulta chiede ora al Parlamento una «legge», suggerendo anche una soluzione. E cioè: i coniugi già «titolari di due cognomi» sceglierebbero di «comune accordo» il «cognome prevalente» da attribuire al figlio, assicurando inoltre a eventuali fratelli e sorelle la «continuità dello stesso cognome». Tradotto dal burocratese: la strombazzata «riforma epocale anti-disuguaglianze» è solo un ritorno all'antico.

Mascherato da modernità.

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