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Caos sul blocco della norma "Salvaladri". Ogni giudice la interpreta a suo modo

Altro che giustizia uguale per tutti. Da un tribunale all'altro, la legge contenuta nella riforma Cartabia è applicata discrezionalmente

Caos sul blocco della norma "Salvaladri". Ogni giudice la interpreta a suo modo

«Io sono Dio e posso prendere tutto quello che mi serve»: arrestato mentre cercava di rubare, tranciando con i denti il cavo di sicurezza, un iPhone da un negozio milanese, un afgano di trent' anni si è giustificato così davanti al giudice. La commessa che aveva cercato di fermarlo lo ha denunciato. Ma il giudice Mariolina Panasiti ha deciso che non poteva tenerlo in carcere: merito (o colpa) del decreto «salvaladri» firmato in agosto dall'allora ex ministro della Giustizia Marta Cartabia. Un decreto di cui il nuovo governo ha deciso di rinviare l'entrata in vigore, ma che intanto ha dispiegato in parte i suoi effetti. Facendo uscire dal carcere qualche ladro, come l'afghano di cui sopra. E soprattutto aprendo uno scontro all'interno della magistratura, tra il politico e il dottrinale, su come comportarsi davanti a una norma congelata quando mancavano poche ore alla sua entrata in vigore.

A catapultare in orbita la faccenda è stato il giudice senese Simone Spina, che l'altro ieri - sospendendo il processo a un imputato di violenza privata - ha trasmesso alla Corte Costituzionale il provvedimento con cui il premier Giorgia Meloni e il suo ministro Carlo Nordio hanno stoppato l'entrata in vigore della riforma Cartabia: il provvedimento sarebbe addirittura incostituzionale. Ma in attesa che si pronunci la Consulta, e che il Parlamento a egemonia centrodestra ratifichi o modifichi il decreto «salvaladri», cosa fare delle migliaia di accusati di furto che non sono stati querelati dalle vittime, che la «Cartabia» avrebbe reso non punibili ma che attualmente si trovano in carcere?

Nei giorni scorsi sul tema è intervenuto il Massimario della Corte di Cassazione, l'ufficio che si occupa di evidenziare i principi di diritto contenuti nelle sentenze, e che stavolta si è addentrato in una analisi approfondita della situazione inedita creata dal blocco in extremis della riforma. Ebbene, secondo il Massimario non ci sarebbe dubbio: visto che le vittime dei reati hanno novanta giorni di tempo per sporgere querela, «in questo limbo di procedibilità la misura dovrebbe essere mantenuta». Chi è in carcere, insomma, dovrebbe restare in carcere. Il giudice milanese Marco Tremolada, coordinatore delle sezioni penali del tribunale meneghino, ha diramato a tutti i suoi colleghi la circolare del Massimario. Non c'è un obbligo di attenersi alle indicazioni, ma il messaggio è chiaro: per adesso non scarcerate. Peccato che ci siano giudici che non la pensano affatto così: come la Panasiti, il magistrato milanese che ha scarcerato il ladro afghano. La quale rimarca come il nuovo governo non abbia cancellato la riforma Cartabia, ma solo rinviato al 30 dicembre la sua entrata in vigore. «Appare di intuitiva evidenza - scrive -, che la imminenza dell'entrata in vigore del decreto legislativo» fa sì che il ladro quando verrà giudicato verrà assolto, e questo rende fin da subito impossibile tenerlo in carcere.

Capire chi ha ragione e chi torto risulta, davanti alla complessità tecnica della faccenda, praticamente impossibile.

Di fatto, da un tribunale all'altro, e all'interno dello stesso tribunale, si stanno verificando interpretazioni diverse, e di conseguenza trattamenti diversi per imputati identici.

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