Carriere separate, la profezia inascoltata

Spunta un'intervista di Vassalli del 1987: "Senza, il mio Codice non funzionerà"

Carriere separate, la profezia inascoltata
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Nel 1987, Giuliano Vassalli, allora Ministro della Giustizia e padre della riforma del codice di procedura penale del 1989, rilasciò al Financial Times un'intervista destinata a diventare una pietra miliare della riflessione giuridica italiana. Quelle righe, raccolte dal giornalista Torquil Dick Erikson, grande esperto di sistemi giudiziari, vennero recuperate lo scorso anno da Maurizio Tortorella su Panorama in una versione integrale.

Vassalli lanciava un monito chiarissimo: senza la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, il mio codice non funzionerà. Il "Codice Vassalli" avrebbe dovuto traghettare il processo penale italiano da un modello inquisitorio a uno schiettamente accusatorio. Ma per Vassalli, giurista fine e pragmatico, la riforma era incompleta senza un corrispettivo intervento sull'ordinamento giudiziario. "Il concetto del sistema accusatorio è assolutamente incompatibile con molti altri principi destinati a restare in vigore nel nostro diritto e in particolare con il nostro ordinamento giudiziario". Continuare a parlare di sistema accusatorio affermava laddove "pubblico ministero e giudice appartengono alla stessa carriera, agli stessi ruoli, allo stesso corpo, essere colleghi eccetera, è uno dei tanti elementi che non rendono molto leale parlare di sistema accusatorio". Vassalli concludeva che "il nostro ordinamento giudiziario non cambierà, se non in minima parte".

Oggi, a trentasei anni dall'entrata in vigore del codice, quelle parole suonano profetiche. Vassalli individuava con lucidità un nodo ancora irrisolto: la mancata separazione delle carriere non è un dettaglio, ma un vizio originario che inficia l'intero impianto accusatorio e provoca un corto circuito.

La speranza era che, almeno sul piano funzionale, si riuscisse a distinguere i ruoli processuali. Ma quella distinzione, da sola, non ha retto la prova del tempo. Nell'intervista, il Guardasigilli racconta anche la solitudine di chi prova a riformare la giustizia dall'interno: la volontà del Parlamento "è una sovranità limitata dalla magistratura nelle questioni di giustizia. La magistratura ha un potere enorme... è il più grande gruppo di pressione che abbiamo conosciuto". E descrive con amara ironia la realtà di un ministero "circondato esclusivamente da magistrati" distaccati, una fotografia ancora molto attuale.

Il suo, però, è un pensiero realistico, non rassegnato. E oggi, mentre il ministro della Giustizia Carlo Nordio promuove una riforma costituzionale volta proprio alla separazione delle carriere, il nome di Vassalli torna con forza nel dibattito pubblico. Nordio, che non nasconde di ispirarsi all'illustre predecessore, raccoglie così un testimone rimasto in sospeso per decenni. La cornice costituzionale è cambiata: dal 1999, la terzietà del giudice è principio indefettibile, e la politica sembra aver acquisito la forza necessaria per affrontare la riforma.

La lezione del giurista-partigiano resta attuale perché tocca una questione di democrazia sostanziale:

nessun processo può dirsi veramente giusto se le funzioni non sono nettamente divise, non solo nel ruolo ma nell'ordinamento. Oggi, più che nel 1987, le sue parole chiedono di essere ascoltate. E, forse, finalmente attuate.

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