
Roma - Salvini? Via, fuori dal bar, «perché qui noi non facciamo da cassa di risonanza per nessuno». E sul marciapiede il leader della Lega trova una cinquantina di sardine e militanti della Cgil che lo contestano. «Se ci fosse Berlinguer, vi sputazzerebbe», la sua replica. Succede a Casalecchio del Reno, 35 mila abitanti, provincia di Bologna. Va bene, non sarà Parigi e nemmeno l'ombelico del mondo, però ormai quella cittadina dell'Appennino emiliano è diventato il luogo simbolo, il topos della lotta politica in Italia, della contrapposizione dura e delle scelte di campo nette. Ricordate? Silvio Berlusconi che nel 1993 preferisce Fini a Rutelli come futuro sindaco di Roma, Giorgio Almirante al Cantagallo che nel 1973 non riesce a mangiare e nemmeno a fare benzina perché i lavoratori si rifiutano di servirlo. E, risalendo indietro nella storia, le guerre intorno all'anno mille tra le fazioni bolognesi tra i castelli, le roccheforti e le fortezze di questo pezzo di montagna. Insomma, terra aspra, di teste calde e scontri violenti. Nel 1402, la sanguinosa battaglia tra l'esercito bolognese agli ordini di Giovanni I Bentivoglio e le truppe di Galeazzo Visconti, duca di Milano. Cinque secoli dopo, i bombardamenti della seconda guerra mondiale, l'occupazione tedesca, i rastrellamenti, le distruzioni, le tragedie: Marzabotto, quella dell'eccidio nazista, 800 morti, dista pochi chilometri. Così in quel giugno del 1973 Giorgio Almirante non trovò proprio un ambiente ideale, quando decise di fermarsi all'autogrill di Cantagallo per mangiare e rifornirsi di carburante. Il segretario missino veniva da Trieste ed era diretto a Roma, convocato dal presidente Giovanni Leone: crisi di governo, consultazioni di rito, tappa tecnica a metà strada. Con lui la moglie Assunta, la figlia e il fido Michele Marchio. Si sedettero al tavolo numero 30, ordinarono penne al sugo, salame, lenticchie e cotechino, ma si ritrovarono davanti tutto il personale con le braccia incrociate. «I lavoratori sono in sciopero contro la sua presenza nel locale», spiegò il direttore di sala Nicola Colamonico. Donna Assunta voleva protestare, Marchio forse menare le mani, Almirante invece si alzò e se andò senza battere ciglio. «Che volete che sia, è la battaglia politica, tutto normale». E la benzina dovettero farla da un'altra parte. Vent'anni dopo toccò a Silvio Berlusconi, all'epoca ancora solo imprenditore. «Cavaliere, se lei votasse a Roma, chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini», gli chiesero in una affollata conferenza stampa all'Euromercato di Casalecchio.
La risposta («certamente sceglierei Gianfranco Fini, che rappresenta i valori dello schieramento moderato nel quale mi riconosco») segnò la «discesa in campo» di Berlusconi, sdoganò la destra - che poco dopo rinnegò il fascismo attraverso l'acronimo di Fiuggi - fu la base dell'alleanza a tre con la Lega e cambiò la storia del Paese. Però da quelle parti ancora si litiga.