Chiamata alle armi della magistratura: "Noi non arretriamo". Meloni "sorpresa": avanti con la riforma

Era facile prevedere che la dura reazione del governo alle inchieste di Milano e di Roma su due suoi esponenti - Daniela Santanchè e Andrea Delmastro - avrebbe avuto l'effetto di compattare una magistratura che ultimamente aveva dato segnali di divisioni interne

Chiamata alle armi della magistratura: "Noi non arretriamo". Meloni "sorpresa": avanti con la riforma
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Era facile prevedere che la dura reazione del governo alle inchieste di Milano e di Roma su due suoi esponenti - Daniela Santanchè e Andrea Delmastro - avrebbe avuto l'effetto di compattare una magistratura che ultimamente aveva dato segnali di divisioni interne. L'ovvio risultato arriva ieri, quando dal direttivo dell'Associazione nazionale magistrati escono dichiarazioni che sembrano segnare un punto di non ritorno nello scontro tra il governo Meloni e il sindacato delle toghe. Prima il presidente dell'Anm, Giuseppe Santalucia, poi il testo deliberato all'unanimità accusano l'esecutivo di voler intimidire e condizionare l'azione giudiziaria, e rivendicano il ruolo di «garanti della Costituzione». Il sindacato delle toghe coglie l'occasione anche per ripartire a testa bassa - prolungando la «invasione di campo» denunciata nei giorni scorsi dal ministro Carlo Nordio - contro progetti di legge come la riforma dell'abuso d'ufficio o la stretta sull'uso del carcere preventivo di cui si profetizza un «effetto devastante sugli uffici giudiziari».

È un luglio rovente, nei rapporti tra politica e giustizia, eppure il nuovo attacco dei giudici sembra cogliere il governo impreparato, non organizzato a replicare. Nordio è sul volo di ritorno dal Giappone, la premier tace, a ribattere alla presa di posizione delle toghe sono solo alcuni parlamentari. Solo in serata fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che la Meloni è «sorpresa» dalla reazione Anm ma giura che «questo governo, non rinuncerà mai a intervenire ogni volta che siano messe in gioco l'applicazione delle leggi e si interferisca nelle dinamiche democratiche». Avanti con le riforme, dunque, anche se le toghe sventolano la bandiera del «resistere».

Che la giornata fosse destinata a vedere un nuovo innalzamento dei toni lo si era capito già in mattinata, quando davanti al parlamentino dell'Anm il suo leader Santalucia aveva preso la parola per un intervento barricadiero, accusando il governo di voler «colpire al cuore la magistratura». Nel mirino, i due comunicati di venerdi usciti da via Arenula in cui imprecisate «fonti ministeriali» criticavano la decisione di un giudice romano di ordinare l'imputazione coatta del sottosegretario Delmastro per le sue soffiate sul caso Cospito, e la fuga di notizie milanese sull'indagine a carico del ministro del turismo Santanchè. Per Santalucia i due comunicati «anonimi» accusano la magistratura di essere animata da finalità politiche. La replica è veemente: «La magistratura non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza, il nostro silenzio sarebbe l'impacciato mutismo di chi non sa reagire con fermezza a una politica muscolare». Davanti agli applausi dei colleghi Santalucia proclama: se tacessimo «sarebbe un arretramento e noi non arretriamo quando si tratta di difendere i valori della Costituzione».

Di fatto, è l'intero programma del governo Meloni in materia di giustizia a venire investito ieri dalla invettiva dell'Anm. Anche la separazione delle carriere tra pm e giudici, da sempre nell'agenda del centrodestra, viene bollata come una «misura di punizione nei confronti della magistratura».

Dopo l'intervento-comizio di Santalucia, il direttivo dell'Anm mette ai voti una risoluzione già scritta, e la musica non cambia. Nel testo approvato all'unanimità si rivendica il diritto (anzi, il «dovere») delle toghe di criticare e attaccare preventivamente i disegni di legge in modo da «far conoscere all'opinione pubblica ogni aspetto, ogni profilo, ogni implicazione sottesi alle annunciate riforme». Così si torna all'attacco della riforma dell'abuso d'ufficio, la cui abolizione «si pone in contrasto con l'indirizzo politico perseguito a livello internazionale, consistente nel potenziamento degli strumenti di prevenzione e repressione della corruzione, ed espone l'Italia al rischio di procedure d'infrazione»; la inappellabilità delle sentenze di assoluzione, una misura di civiltà sostenuta da giuristi di ogni orientamento, viene paragonata dal direttivo dell'Anm alla legge Pecorella del 2007, definita allora una legge «ad personam».

Un fiume in piena, insomma.

Per Alfredo Mantovano, sottosegretario, ex magistrato, che aveva paventato dietro le ultime inchieste il rischio di «interferenza giudiziaria», Santalucia è quasi irriguardoso, «in quelle parole - dice - non rinvengo traccia di razionalità istituzionale». La assemblea applaude, in un clima da chiamata alle armi. Nello scontro che si apre, non c'è tempo per le cortesie. Neanche tra ex colleghi.

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