"Comitato Frankenstein", i veleni nello staff di Kamala

Le anime (in conflitto) nel comitato elettorale: i fedelissimi, quelli di Biden e di Obama

"Comitato Frankenstein", i veleni nello staff di Kamala
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Qualcuno l'ha chiamato «comitato Frankenstein». Altri temono che nel lungo periodo possa creare grossi problemi a Kamala Harris. Stiamo parlando del team elettorale che la vicepresidente ha messo insieme dopo il ritiro di Joe Biden. Il comitato è composto da tre anime, la vecchia guardia di Biden, i fedelissimi di Harris e gli ex collaboratori di Barack Obama. Diversi membri di questo mega-comitato hanno iniziato a far filtrare un po' di malumori, rompendo il clima di idillio intorno alla corsa di Harris.

Sei di loro hanno raccontato ad Axios che questo gruppo sta diventando poco maneggevole, ma soprattutto che dà prova di scarsa coesione. Quando il 21 luglio il presidente ha fatto un passo indietro, il comitato era composto da pochi fedelissimi dell'ex senatore del Delaware. Harris, al suo ingresso, ha tenuto gran parte di questa struttura, lasciando a capo Jennifer O'Malley Dillon e Julie Chavez Rodriguez, con la prima che per settimane ha chiesto direttamente ad Harris se sarebbe stata demansionata. La vicepresidente ha dato garanzie ma poi ha imbarcato altri collaboratori.

L'innesto più eclatante è stato quello di David Plouffe che nel 2008 ha condotto la trionfale campagna di Obama e nel 2012 ha dato un contributo importante per la rielezione. Al momento il suo ruolo non è chiarissimo dato che non sostituirà O'Malley Dillon. Fonti di Politico lo indicano come «consulente senior per il percorso verso i 270 grandi elettori». Una carica fittizia e che alimenta confusione nei ruoli. Nel team, però, sono entrati anche altri ex Obama piazzati in ruoli chiave, come Stephanie Cutter, consigliere per il messaggio della campagna e Mitch Stewart, responsabile degli Stati in bilico. L'ingresso di queste forze ha portato all'uscita di Mike Donilon, uno degli architetti della campagna di Biden, che è tornato a lavorare alla Casa Bianca.

Per ora questi nuovi «consiglieri» hanno portato una certa confusione. Una fonte ha fatto sapere che tutte queste persone «danno la sensazione che non ci sia chiarezza sui ruoli». Le frizioni non stanno tanto ai vertici, quanto a due-tre livelli sotto, cioè tra gli operativi. E questo per una campagna tutta da costruire, a due mesi dal voto, è un problema grosso.

Le due fazioni del comitato che preoccupano di più sono quelle di Biden e Obama, coi primi che vedono i secondi responsabili del tradimento politico che ha portato al ritiro del presidente. Ma ci sono malumori anche nella fazione Harris che ha accusato Rob Flaherty, uomo di Biden, di aver editato male «Freedom», il primo video della campagna.

Per ora si parla di scontri sporadici e del fatto che «l'organizzazione goffa messa in piedi da Harris può reggere finché si è convinti di vincere». Una magra consolazione. Cosa succederà se Harris farà un passo falso? O se scoppiasse una crisi? Il rischio implosione è dietro l'angolo.

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