Il coraggio di chi resiste nel regime che uccide l'opposizione

Le immagini che Vladimir Putin e i suoi sodali del regime fondato sul vecchio Kgb non avrebbero mai voluto vedere hanno fatto il giro del mondo

Il coraggio di chi resiste nel regime che uccide l'opposizione
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Le immagini che Vladimir Putin e i suoi sodali del regime fondato sul vecchio Kgb non avrebbero mai voluto vedere hanno fatto il giro del mondo. A mezzogiorno, in tutte le principali città russe, composte file di elettori lunghe anche centinaia di metri si sono manifestate proprio come aveva chiesto Alexei Navalny prima di essere fatto fuori in un gulag siberiano un mese fa - per dimostrare fisicamente l'esistenza di un'opposizione, sia pure impedita nel suo diritto di esprimere un candidato di propria scelta. La scena si è ripetuta beffardamente più volte, sempre simile, perché la sterminata Russia si estende, da San Pietroburgo sul Baltico fino alla remota Kamchatka sull'oceano Pacifico, su ben dieci fusi orari.

Anche immagini che noi non avremmo mai voluto vedere si sono purtroppo fissate in video: sono quelle di cittadini arrestati vicino ai seggi con le modalità brutali tipiche di un regime sempre più intollerante, braccia dolorosamente torte all'indietro e faccia nella neve per il solo fatto di esser lì all'ora sbagliata. Queste scene ci ricordano che i regimi dittatoriali, comunque travestiti, hanno sempre paura di quel popolo che pretendono di guidare verso fulgidi destini: anche una sola voce coraggiosa spaventa gli usurpatori.

I più audaci sono stati coloro che hanno aderito al «mezzogiorno contro Putin» su suolo russo, ben sapendo di rischiare vessazioni e perfino anni di carcere (una nuova legge ne minaccia addirittura otto ai «disturbatori del voto»), magari ricevendo la visita a domicilio della polizia giorni dopo, quando i filmati degli assembramenti dei navalniani ai seggi saranno stati osservati con calma. Ma anche chi si è messo in fila a mezzogiorno davanti alle ambasciate russe all'estero ha compiuto un atto di consapevole sfida, soprattutto chi a Berlino si è stretto accanto a Yulia Navalnaya vedova dell'ex nemico numero uno di Putin che ostentatamente si è presentata per mantenere la promessa fatta al marito.

Quella promessa prevede che la lotta al regime non si fermi. E che un bersaglio dolente ieri sia stato colpito, lo dimostra la rabbia dei falchi del Cremlino: in prima fila, come sempre, il solito ex presidente federale Dmitry Medvedev che ha definito «traditori» i protagonisti del mezzogiorno anti Putin. Lui, il Capo che ha ordinato che il voto delle presidenziali fosse un plebiscito a favore suo e della sua guerra d'aggressione all'Ucraina, invece ieri non si è fatto vedere né sentire. Lo farà oggi, ringraziando ipocritamente per un trionfo di cartapesta e certamente ignorando i suoi cittadini che l'hanno sfidato: del resto, Putin si è sempre rifiutato di pronunciare anche solo il nome di Navalny, affidandone la sorte ai suoi sgherri.

I coraggiosi di ieri, però, gli hanno rovinato la festa.

La vera partita di questi tre giorni elettorali, infatti, non si giocava sul risultato finale, fissato in anticipo dal Cremlino. Ma piuttosto tra la propaganda ufficiale di Putin (tutti col Capo e traditore della Patria chi diserta) e la Russia che, nonostante tutto, gli resiste con onore davanti agli occhi del mondo.

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