Milano - Un corso di «Prevenzione e contrasto della radicalizzazione violenta» per i vigili di Milano. Non solo. Contro il rischio jihad, il Comune affiancherà degli studenti arabi, iscritti ai master di sicurezza urbana, alle pattuglie che sorvegliano i quartieri a più alta concentrazione islamica, come San Siro, Baggio o Corvetto. Sono le banlieu della metropoli dell'Expo, ci vivono oltre 6mila famiglie abusive di cui spesso le istituzioni non conoscono neanche l'identità, per non dire i movimenti. Parlando dei nuovi progetti il Comune tiene a sottolineare più e più volte la parola «prevenzione, non ci sono segnali di rischio attentati a Milano». Il piano era stato affidato «già a ottobre» all'ex magistrato esperto di terrorismo internazionale Stefano Dambruoso, deputato di Civici e Innovatori, arruolato come consulente gratuito dall'assessore Pd alla Sicurezza Carmela Rozza. Prima insomma della sparatoria in cui è stato ucciso il terrorista tunisino Anis Amri a Sesto San Giovanni, porte di Milano. Prima dell'attentato di Berlino però c'erano stati quelli di Parigi e Bruxelles, e molti dei responsabili venivano dal quartiere ghetto di Molenbeek. Prevenire gli errori del Belgio è l'imperativo diffuso. Da lì è nata l'idea di istruire i vigili di quartiere a cogliere il disagio in corso, soprattutto in quei giovani isolati o sbandati, prima che sfoci in una radicalizzazione islamica violenta. Lo scopo, tiene a precisare l'assessore della giunta Sala, «è anche quello di creare una maggiore coesione sociale, la radicalizzazione può nascere in un clima di discriminazione razziale e i vigili registrare e ridurre al massimo i conflitti, gli arabi non devono essere considerati una comunità a parte».
Dambruoso, affiancato da un team di esperti, inizierà a tenere a febbraio un'intera giornata di corso ai circa 300 agenti di quartiere di Milano e agli ufficiali di zona, poi il progetto potrebbe svilupparsi e coinvolgere anche assistenti sociali ed educatori. Tra gli «obiettivi formativi», come è scritto nel dossier consegnato dall'ex pm al Comune, c'è quello di fornire la «consapevolezza e la conoscenza dei processi di radicalizzazione che portano al terrorismo e l'estremismo violento. I fattori che determinano la vulnerabilità e i fattori protettivi. Inoltre, la comprensione di interventi che potrebbero attenuare la radicalizzazione». Al secondo punto, la «consapevolezza e l'atteggiamento» che devono assumere i vigili per «costruire le relazioni di fiducia nella comunità». Terzo, le «competenze per affrontare il crimine d'odio, la prevenzione delle discriminazioni su base razziale o etnica» e - quarto - «come essere un partner efficace nella cooperazione tra forze di polizia ma anche fuori dal mondo della sicurezza, per esempio la partnership con l'istruzione, il lavoro di sostegno dei giovani, le famiglie e la società civile».
E soprattutto nei quartieri popolari «ghetto» opereranno gli «stagisti per la sicurezza», universitari madrelingua arabi arruolati dal Comune per accompagnare pattuglie di tre o quattro vigili durante i sopralluoghi, aiutarli a decifrare cartelli e segnali di rischio. In questo caso «copiamo il modello Rotterdam - spiega l'assessore Rozza -, dove vivono 145 nazionalità diverse e la presenza di immigrati arriva a superare il 45% in alcune zone.
La polizia di Stato lì usa un coordinatore di origine straniera per interagire con i residenti nella stessa lingua e cogliere i segnali di reclutamento della jihad tra i giovani». Più avanti, con i fondi europei, il Comune conta di aprire in periferia anche dei centri di ascolto contro la radicalizzazione, con mediatori, psicoterapeuti e anche religiosi, e forse un centralino dedicato.
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