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Così rivive l'eredità di Pannella

Il primo sciopero della fame fu anarchico, quando lui, Giacinto detto Marco, non era affatto famoso.

Così rivive l'eredità di Pannella

Il primo sciopero della fame fu anarchico, quando lui, Giacinto detto Marco, non era affatto famoso. Era il 1960 o giù di lì. «Lavoravo a Parigi per Il Giorno e frequentavo la resistenza algerina. È lì che conosco Louis Lecoin, un vecchio anarchico francese mite e testardo che sapeva dialogare con tutti. Fu lui a convertirmi alla non violenza. Mi aggregai al suo digiuno, dopo cinque giorni smise lui e smisi io». Il primo insomma è per la libertà dell'Algeria. Tutto comincia e finisce con i diritti umani.

Per Pannella il suo volto scavato e le labbra disidratate divennero lo strumento per accendere la luce sulle sue battaglie. «Ecco, sono qua, ascoltatemi». Non c'era altro modo, perché troppo spesso gli altri si giravano dall'altra parte. C'erano i distratti e chi per mestiere avrebbe dovuto raccontare quello che accadeva. C'erano i giornali ciechi e la tv di Stato imbavagliata. Ci sono ancora. Allora Marco smetteva di mangiare, per giorni e giorni, e qualche volta anche di bere, con i sorrisini di chi non lo ha mai capito e le stronzate scontate: «Ma quello mangia di nascosto». Non conoscevano la vocazione al martirio di questo profeta logorroico e fastidioso. È che adesso si accorgono di quanto manchi uno come lui, mica per dargli sempre ragione, ma per ricordarci che la libertà e la democrazia non sono qualcosa che trovi facilmente in natura. Te le devi andare a prendere, ogni santo giorno.

Il primo sciopero pubblico è quello del 1969, con Roberto Cicciomessere come Sancho Panza. È la stagione del referendum sul divorzio. È Pannella che irrompe sulla scena politica e dissacra e disorienta, scompiglia e vede l'invisibile. Ne verranno tanti e tanti altri di digiuni contro le corporazioni dei silenzi. Li fa con il fegato a pezzi e un tumore ai polmoni, con quattro by pass come nel 1998 per difendere la voce di Radio Radicale. Lo fa per la Jugoslavia, per Sofri e contro la condanna a morte di Saddam Hussein. Lo fa per il Parlamento fuorilegge e contro il Porcellum. Non puoi citarli tutti, ma quello del 2011 a 85 anni non si può non ricordare. È per la situazione assurda delle carceri italiane. Dura sette mesi e si ritrova in fin di vita. Il presidente Napolitano scrive una lettera per convincerlo e solo allora si arrende. Marco non smetterà fino alla fine di battersi per i diritti inalienabili e contro una giustizia giacobina.

Pannella ha seminato ovunque, senza preoccuparsi di frontiere e colori. Non ha mai detto a nessuno: con te non parlo. Allora non c'è da stupirsi se adesso a portare le sue idee ci sia un ex ministro leghista. Roberto Calderoli, con un passato non da radicale, lo indica come maestro. «La mia battaglia e il mio sciopero della fame si ispirano a lui». E se qualcuno agita le vesti e non lo riconosce sul volto di Calderoli da Bergamo significa che di Pannella ha capito poco. La forza di Marco, quella che resta oltre la morte, è proprio in questo digiuno senza appartenenza. È l'inatteso.

È che certe idee amano stupirsi.

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