Guerra in Israele

La crisi di Netanyahu tra guerra e ostaggi: il leader ormai solo accusa il suo esercito (e poi chiede scusa)

Sparirà prima Bibi Netanyahu o quell'Hamas che il premier israeliano vorrebbe cancellare dalla faccia della terra e dai sotterranei di Gaza? La domanda è tutt'altro che peregrina

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Sparirà prima Bibi Netanyahu o quell'Hamas che il premier israeliano vorrebbe cancellare dalla faccia della terra e dai sotterranei di Gaza? La domanda è tutt'altro che peregrina. Mentre Hamas ha duecento e passa ostaggi e due milioni di palestinesi dietro cui nascondersi Bibì è sempre più solo. E sembra in preda a una confusione mentale che rischia di trascinarlo al suicidio politico.

Per capirlo basta il tweet postato ieri mattina su X, e cancellato subito dopo, con cui il premier israeliano scaricava sui capi di esercito e intelligence le responsabilità per l'impreparazione costata il massacro di 1.300 israeliani e il rapimento di altri duecento. «In nessuna circostanza e in nessun momento il Primo Ministro Netanyahu è mai stato avvertito riguardo alle intenzioni belliche di Hamas. Al contrario - scrive Bibi parlando in terza persona - le considerazioni dell'intero apparato di sicurezza, tra cui quelle del capo dell'intelligence militare e del capo dello Shin Bet erano che Hamas appariva scoraggiato e pronto a cerare un accordo». Parole gravissime che suonano come un accusa diretta a Aharon Haliva e Ronen Bar, i due capi di intelligence militare e Shin Bet (servizi di sicurezza interni) che a differenza di Bibi hanno immediatamente ammesso le proprie responsabilità. Ma a rendere ancor più inaccettabile l'uscita di Netanyahu è il suo tempismo. Scaricare tutte le colpe su esercito intelligence, e assolvere se stesso, mentre a Gaza inizia la fase più difficile dell'operazione significa non solo screditare i capi militari, ma anche dividere la nazione e compromettere la coesione di un paese in guerra. Ed infatti il post non tarda a scatenare un'autentica rivolta dentro quel gabinetto di guerra a cui spetta la guida delle operazioni.

Il primo ad insorgere è Benny Gantz, l'ex-Capo di stato maggiore, già leader dell'opposizione, entrato nel governo come ministro senza portafoglio per mettere la propria esperienza al servizio del Gabinetto di Guerra. «La leadership richiede responsabilità. Ogni altra parola o azione mina la forza e la capacità di resilienza della nazione», tuona l'ex generale. Ma il post di Netanyahu suona meschino anche per altre ragioni. Solo 12 ore prima, il premier aveva accettato di rispondere alle domande dei giornalisti mettendo fine all'isolamento mediatico che tante critiche gli aveva attirato dopo il 7 ottobre. Invece di presentarsi da solo spiegando che «dopo la guerra ciascuno, incluso me dovrà rispondere a domande molto difficili» Bibi aveva preferito di tirarsi dietro il ministro della Difesa Yoav Gallant e lo stesso Benny Gantz. Un escamotage utile a dimostrare l'unità del governo, che però - alla luce delle parole postate su X - viene letto come un mezzuccio per condividere con altri quelle responsabilità che un vero capo dovrebbe assumersi in solitudine e in prima persona. Un dovere ancor più urgente, sottolineavano ieri molti opinionisti israeliani, nel momento in cui Netanyahu - anziché dare priorità alle trattative per la liberazione degli ostaggi - sceglie di perseguire un azione militare di cui non si conoscono obbiettivi e finalità strategico politiche. La gestione del dopo Hamas a Gaza, con tutte le incognite di una possibile rioccupazione della Striscia, restano infatti assai opache.

E contribuiscono a moltiplicare i dubbi sull'opportunità di lasciare a Netanyahu la guida del paese.

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