Il caso Cucchi è una spina nel fianco per la Procura di Roma. Ieri il numero uno di piazzale Clodio si è detto disponibile a riaprire le indagini.
E non solo per le polemiche suscitate dalla sentenza della Corte d'assise d'appello, che ha assolto tutti, agenti di polizia penitenziaria, infermieri e perfino i medici che in primo grado erano stati condannati. Ma perché, guardando le foto del volto tumefatto del geometra romano, è difficile credere che non ci siano state responsabilità nel decesso.
Il processo infinito non smette di generare polemiche. Oggi la sorella Ilaria, insieme ai genitori, si presenterà in procura con i maxi cartelloni raffiguranti il volto tumefatto del fratello e chiederà di incontrare il procuratore capo. «Voglio chiedergli - ha detto - se è soddisfatto dell'operato del suo ufficio, se quando sosteneva che non avrebbe potuto sostituire i due pm che continuavano a fare il processo contro di noi, contro il mio avvocato e mio fratello, ha fatto gli interessi del processo e della verità». Da parte sua Pignatore fa sapere che non si tirerà indietro ed è pronto a ricevere i famigliari e loro difensore.
«Se dalle loro prospettazioni e dalla lettura della sentenza di appello emergeranno fatti nuovi o comunque l'opportunità di nuovi accertamenti- spiega Pignatone - la Procura della Repubblica di Roma è sempre disponibile, come in altri casi, più o meno noti, a riaprire le indagini e a cercare nuove prove nel rispetto, ovviamente, delle regole dettate dalla legge». Ammettendo poi che dal punto di vista sociale e civile «non è accettabile che una persona muoia, non per cause naturali, mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato». È innegabile che il modo in cui è stato condotto il processo d'appello, voluto dallo stesso pg Mario Remus che chiedeva la condanna di tutti e 12 gli imputati, ha suscitato più di un dubbio.
Del resto gli errori non sono mancati, già nelle ore successive all'arresto di Cucchi, avvenuto il 15 ottobre 2009, quando il ragazzo fu trovato con qualche dose di droga. I carabinieri, infatti, nel verbale scrissero che il giovane era albanese, senza fissa dimora. Invece il geometra una casa la aveva ed era quella che gli stessi militari avevano perquisito, senza trovare nulla, proprio qualche ora prima, alla presenza dei sua e dei suoi genitori.
Risultando però senza dimora - almeno dal verbale- il giudice, la mattina seguente, non gli negò i domiciliari.
Ai genitori, che si preoccupavano di cercargli un difensore, venne invece detto che gli era stato assegnato d'ufficio. Ma un avvocato in aula, invece, non arrivò. Assurdo, poi, il divieto dopo il ricovero al Pertini di permettere ai familiari di incontrarlo, almeno quanto il rifiuto di spiegare i motivi del ricovero stesso.
Anche la vicenda giudiziaria non è scevra da dubbi.
Quello fondamentale avanzato dall'avvocato di parte civile, Fabio Anselmo, era legato al capo d'accusa.
Il legale, in apertura di udienza aveva chiesto la restituzione degli atti all'ufficio del pm affinché trasformasse l'accusa da lesioni in omicidio preterintenzionale.E ora auspica che siano spazzate via le consulenze e le perizie del giudice che hanno contribuito a «fare confusione e a generare fumo».
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