Nelle prossime ore si deciderà il futuro del governo. L'esperienza giallorossa è giunta realmente al capolinea o la legislatura andrà avanti fino a scadenza naturale? Una domanda che si stanno ponendo gli stessi protagonisti dell'esecutivo, praticamente inermi di fronte allo stallo politico che si è creato dopo le pretese avanzate da Matteo Renzi: via la task force e ottenere il via libera al Mes, alle modifiche sui progetti del Recovery Fund e all'affidamento della delega sui servizi segreti a una persona che non sia lo stesso premier. Una serie di richieste che ha mandato in tilt Giuseppe Conte, alle prese con la crescente insoddisfazione degli italiani nei suoi confronti e con la onnipresente ombra di una crisi nei prossimi giorni.
Sarà dunque un gennaio piuttosto movimento per il presidente del Consiglio, chiamato a non sprecare le occasioni dei fondi europei e a non fallire in alcun modo la campagna di vaccinazione. A questo si aggiunge anche l'onere di risolvere un intrigo di cui lui stesso si è reso colpevole, rintanandosi a Palazzo Chigi e distaccandosi da quella che è la situazione reale in cui versa il nostro Paese. L'avvocato si è detto disponibile ad accogliere le istanze delle forze di maggioranza. L'occasione utile sarà il primo Consiglio dei ministri che dovrebbe essere convocato entro il 7 gennaio.
Se non ci sarà un confronto serio e costruttivo a stretto giro potrà venire giù tutto. A sostenerlo è il senatore del Pd Luigi Zanda, secondo cui l'avvocato "avrebbe dovuto aprire la verifica mesi fa" visto che adesso - con il Recovery Fund alle porte - "è difficile che si vada avanti senza un chiarimento vero, nei contenuti e sulla struttura del governo".
Il rimpasto
L'allarme potrebbe rientrare solamente se verranno accolti i rilievi dei partiti che lo sostengono. Tra le ipotesi sul tavolo resta sempre quella del rimpasto, che porterebbe al rafforzamento dello scacchiere dei ministri (ecco chi potrebbe entrare e chi rischia di uscire) e magari prevedere - come nell'esecutivo gialloverde - la presenza di due vicepremier da affiancare a Conte. Il presidente della Repubblica potrebbe consigliare un nuovo passaggio parlamentare per incassare una ulteriore fiducia senza dover però passare da una crisi. Così verrebbe partorito un governo Conte II bis.
Il premier intende accelerare la verifica di governo iniziata qualche settimana fa per verificare se ci sono o meno le condizioni per proseguire con questa maggioranza. E nel corso della conferenza stampa di fine anno ha voluto precisare: "Non si può governare senza la coesione delle forze di maggioranza, si può vivacchiare. Il Paese non ha bisogno di un Paese che stia lì a galleggiare e vivacchiare". Tregua armata dopo il faccia a faccia con il leader di Italia Viva, che però ha immeditamente ripreso a minacciare a chiare lettere: "Conte ha detto che verrà in Parlamento. A mio giudizio ha sbagliato a chiudere così la verifica di governo. Ma se ha scelto di andare a contarsi in Aula accettiamo la sfida. Vediamo se ha i numeri...".
L'inciucio di palazzo
La crisi sarà invece inevitabile se Renzi dovesse ritirare la delegazione di Italia Viva. Il presidente del Consiglio ha già escogitato un piano per mettere all'angolo il fondatore di Iv, ma sa benissimo che sarebbe difficile partorire un nuovo esecutivo senza l'apertura di una crisi formale. Conte dovrebbe dunque salire al Quirinale. rassegnare le dimissioni e dare il via a un giro di "consultazioni proprie" per provare a risolvere i nodi. Italia Viva sarà così chiamata a decidere se ritirare la fiducia ai giallorossi o continuare a fornire il proprio sostegno nonostante il ritiro dei ministri.
Se mancherà l'appoggio dei renziani allora saranno inevitabili le consultazioni con il capo dello Stato Sergio Mattarella. La crisi si risolverebbe in maniera positiva solamente se si riuscissero a trovare i numeri in Parlamento necessari per veder nascere un nuovo governo. Le strade potrebbero portare o a un Conte III se al posto di Italia Viva entrasse un'altra forza politica o a un esecutivo istituzionale di larghe intese guidato da un'altra personalità (circola sempre il nome di Mario Draghi) oppure addirittura da un esponente di un altro partito. Nei palazzi della politica circola con sempre più insistenza il profilo di Marta Cartabia, presidente emerita della Corte costituzionale, come possibile guida di un governo istituzionale se il Conte bis non dovesse superare l'Epifania: viene riferito che la partita è ancora aperta e in tanti non escludono che questo nome possa servire soprattutto per mettere con le spalle al muro il presidente del Consiglio.
L'operazione "segreta"
L'avvocato ha comunque iniziato la caccia ai cosiddetti "responsabili". Si giocherà il tutto per tutto al Senato, dove i numero sono più risicati rispetto alla Camera. In molti sono pronti a scommettere che qualcuno dei 18 senatori renziani alla fine possa continuare a sostenere questo governo. Conte punta a ottenere l'ok specialmente dai centristi ma - come da tradizione - i "responsabili" sono pronti a uscire allo scoperto solamente al momento utile. Farlo prima metterebbe a repentaglio l'operazione. Ma da Cambiamo! di Giovanni Toti e dall'Udc arrivano secche smentite su un possibile sostegno a Giuseppi. Nella serata di ieri è stata inoltre sganciata una bomba da Dagospia, secondo cui il Pd sarebbe pronto a farsi fuori qualora questa operazione "segreta" dovesse andare a buon fine: "Se sostituisce i voti dei renziani al Senato con i 'responsabili', il Partito democratico toglie l’appoggio al governo e Conte si deve dimettere". Pertanto i dem si sono schierati contro la scialuppa di salvataggio dei "responsabili".
Sul tema infatti Luigi Zanda è stato chiarissimo: "Un gruppetto di responsabili di vari schieramenti che supporti il governo non è una risposta all'altezza della gravità della situazione economica, sociale e sanitaria del Paese. Oggi servono governi con maggioranze solide".
Elezioni anticipate
Se le trattative per una nuova maggioranza dovessero prolungarsi prenderebbe sempre più campo l'ipotesi di un ritorno anticipato alle urne. D'altronde è proprio questa la strada indicata dal Partito democratico in caso di crisi. "E allora, se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo", è la posizione del ministro Dario Franceschini. Rimane però una scelta non gradita da tutti visto che le elezioni si terrebbero in piena pandemia e con la campagna vaccinale in corso.
Ecco perché dal Quirinale la reputano un'opzione azzardata, praticamente un salto nel buio. Senza dimenticare che - qualora il centrodestra dovesse vincere - avrebbe in mano la nomina del prossimo presidente della Repubblica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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