Politica

Dall'Isis ai dittatori, le cotte dei grillini

Le loro dichiarazioni a favore di despoti e tagliagole sono ormai celebri

Dall'Isis ai dittatori, le cotte dei grillini

Non è l'Italia che, in realtà, vogliono cambiare ma è la geografia che, in segreto, provano a riscrivere. Dopo aver dichiarato guerra alla Francia e alla sua valuta definita coloniale, il M5s ha spostato i cannoni in Sudamerica che, si sa, è il rifugio dello spirito di Alessandro Di Battista, il Bruce Chatwin di Viterbo che per conto di Davide Casaleggio prova a smontare il mappamondo. Da ieri, il M5s ha infatti mandato all'assalto un altro dei suoi campioni di politica estera, quel Manlio Di Stefano che aveva già dimostrato abilità geopolitiche fuori dal comune: «Una volta al governo rivedremo la nostra partecipazione alla Nato»; «L'Italia è complice dei danni con Israele»; «In Venezuela non si vive poi così male».

Con una competenza tale non poteva che finire alla Farnesina e si deve alla prudenza del presidente Sergio Mattarella se Di Stefano è solo sottosegretario e non ministro come avrebbe desiderato Beppe Grillo. Insomma, si era capito che fosse candidato a diventare il nuovo Henry Kissinger del vaffanculo, ma da quando gira per continenti è più pericoloso di Kim Jong Un. Straparlando a nome del governo, nel pieno della battaglia di liberazione che il popolo venezuelano sta conducendo, Di Stefano ha da ieri schierato l'Italia con il dittatore Nicolás Maduro e rifiutato di riconoscere Juan Guaidó, presidente acclamato da un intero paese e che ha incassato il sostegno del parlamento europeo per voce del suo presidente Antonio Tajani: «Il parlamento Ue è la prima istituzione comunitaria a riconoscerlo». Parlando come comandante in capo, Di Stefano ha dichiarato - nascondendosi dietro al capello dell'Onu, lui che solitamente è un putinano e sovranista convinto - che «l'Italia non riconosce Guaidó perché siamo contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un altro Paese». Non si tratta di una sbandata. Tutta la diplomazia del M5s è materia da Dottor Stranamore, è un insaccato di dichiarazioni a favore di dittatori e di tagliagole: «Con l'Isis bisogna trattare». Già nel marzo del 2017, il solito Di Stefano si era diretto con altri arditi di movimento in direzione Caracas per restituirci la loro controverità. Ai racconti drammatici degli italiani che spiegavano come si vivesse sotto dittatura, i parlamentari del M5s replicavano: «Almeno in Venezuela avete il programma di musica nelle scuole». Naturalmente sono tutti studenti di geografia di Luigi Di Maio, professore emerito in questa disciplina e anche lui profondo esperto del Venezuela che però scambia con il Cile in un post che ha fatto epoca: «Come ai tempi di Pinochet in Venezuela». In verità va detto che anche nella politica interna per Di Maio Matera si trova in Puglia, ed è ancora poca cosa rispetto alla sua idea di mondo e al suo rapporto con la Russia che ritiene un paese del Mediterraneo, («Siamo interlocutori con tanti Paesi del Mediterraneo come la Russia»). E non si capisce per quale ragione ma nel planisfero di Di Maio le uniche nazioni in grado di stabilizzare la Libia sono, ancora!, il Venezuela e la piccolissima Cuba, («Sulla Libia abbiamo sbagliato a fidarci di Sarraj. Venezuela e Cuba possono mediare»). Se solo si leggesse, e l'abbiamo letto, il programma estero del M5s, si troverebbe il solito fritto misto di antiamericanismo ma mescolato con l'ammirazione per Trump che per Di Battista è il miglior presidente della storia («Migliore di quel golpista di Obama») o ancora «lo spostamento del centro geopolitico di gravità verso l'Eurasia» e la «creazione di un nuovo ordine mondiale del Buon Vivir». In questo delirio, non rimane che affidarsi agli svizzeri.

Loro, per fortuna, hanno fermato Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista alla dogana.

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