Politica internazionale

Il declino dell'Eliseo con la dottrina dei "diritti umani" un tanto al chilo

La Francia esce male da una vicenda segnata dai bizantinismi dei presidenti di sinistra. Un filo rosso lega il cinismo di Mitterrand alla presunzione di Macron

Il declino dell'Eliseo con la dottrina dei "diritti umani" un tanto al chilo

È probabile che dal punto di vista giuridico e insieme giudiziario il rifiuto della Corte di Cassazione francese all'estradizione dei dieci ex terroristi italiani rifugiatisi oltralpe al tempo della cosiddetta dottrina Mitterrand che ne garantiva l'esilio politico, e lì da allora rimasti, archivi definitivamente la possibilità dello Stato italiano di poter giudicare, secondo le propri leggi, chi sul suo territorio le infranse.

Lascia però l'amaro in bocca il paradosso per cui ciò che all'epoca, gli anni Ottanta della presidenza socialista, appunto, di François Mitterrand, fu una decisione squisitamente politica, mai di fatto configurata con un provvedimento legislativo, concluda il suo percorso con la politica stessa che pilatescamente se ne lava le mani. Va altresì ricordato che c'era in quella cosiddetta dottrina tutto il bizantinismo ideologico di chi si voleva far garante della libertà di pensiero e di azione in terra altrui, schermandosi dietro la formula che si garantiva asilo politico purché chi lo chiedeva «non si fosse macchiato di fatti di sangue»... Era un bizantinismo funzionale a una sorta di quieta non movere, con un'Italia debole internazionalmente a far valere le proprie ragioni, ma altrettanto debole internamente, impegnata com'era a cercare di uscire da quegli anni di piombo che da noi insanguinarono più di un decennio e che vennero a lungo raccontati e presentati in una luce tanto confusa quanto mistificante: «Le Brigate rosse che in realtà e per convenienza dovevano essere per forza nere», «i compagni che sbagliano», «la nuova resistenza», «Né con lo Stato né con le Bierre, «l'album di famiglia»...

Va da sé che quella decina di ex terroristi che viaggiano tutti, come età, fra i settanta e gli ottanta anni, sono con molta probabilità persone ben diverse rispetto a ciò che al tempo fecero, quando la rivoluzione veniva presentata come un (luttuoso) gioco di società, del che certamente si sarebbe tenuto conto qualora il loro essere giudicati dalla giustizia italiana fosse stato reso possibile. Ma va anche da sé che l'essere giunti alla vecchiaia è un traguardo che venne da loro stessi negato a chi, innocente, ne rimase vittima, e anche questo va ricordato, per non fare del pietismo rognoso. Se si accetta l'idea di stare dalla parte del soggetto più debole, è a chi non c'è è più che deve andare l'attenzione maggiore, affinché non si ritrovi retrocesso a «danno collaterale». Non ai carnefici.

Infine, l'Italia ha fatto la sua parte e l'unico addebito che le si può fare è di essersi mossa troppo tardi. Il perché di questo ritardo risiede anche nella lettura «ideologico-assolutoria» che del terrorismo di sinistra è stata a lungo fatta nel nostro Paese e di cui abbiamo già accennato. Non ci torneremo su, fa parte del nostro masochismo nazionale.

Chi però esce male da questa vicenda è la Francia, con il suo trionfalismo presidenzialista, con la sua pomposità vacua dei «diritti dell'uomo» un tanto al chilo, con la sua spompata grandeur di tecnocrati altrettanto nefasti dei politici improvvisati che da un ventennio a questa parte li hanno preceduti. Mitterrand veniva chiamato «le florentin», il fiorentino, per il suo cinismo e la sua abilità machiavellica a cavalcare la storia, nazionale e no.

Macron ne ha ereditato, malamente, la presunzione e verrà ricordato soltanto per il costoso orologio da polso, goffamente fatto sparire, di una maldestra esibizione televisiva.

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