Quel "deep state" contro il governo

I rapporti Mattarella-Meloni restano saldi. Ma Fdi vede ostilità in molti organi statali. Burocrati & C: ecco chi rema contro il governo

Quel "deep state" contro il governo
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Ma insomma, pensiamo ai giovani, dice adesso Sergio Mattarella, "ai loro sogni e al loro futuro", occupiamoci dei bambini, troppo spesso "vittime di violenza, tratta e sfruttamento". Agenda fitta sul Colle. In mattinata il messaggio per la giornata dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, poi l'udienza con i vertici dell'istituto di storia del Risorgimento, più tardi l'incontro con l'Agis. "Lo spettacolo è una ricchezza, un investimento per il nostro Paese".

Ecco, the show must go on, si va avanti. Dopo l'incontro del disgelo con Giorgia Meloni forse restano ancora dei cubetti di ghiaccio a galleggiare: ma le istituzioni collaborano, perché presidenza della Repubblica e presidenza del Consiglio "devono" andare d'accordo. Lo stesso umore si respira dalle parti di Palazzo Chigi. Nessuno scontro con il Colle, ripetono, "la correttezza e la neutralità del capo dello Stato da noi non sono mai state minimamente messe in discussione". E i rapporti personali "sono ottimi". Di più: "Sono cordiali".

Meno buone invece le relazioni con quello che una volta si chiamava "Il Sistema". Burocrazia, magistratura, enti di controllo, agenzie, strutture non elette dai cittadini, gangli vitali della Repubblica che però, secondo sospettano alcuni membri dell'esecutivo, ogni tanto lavorano come un governo ombra per bloccare o rallentare l'azione ministeriale. "L'ingerenza del Deep State sulle nostre decisioni è un ostacolo".

Dalla Corte dei Conti che boccia il Ponte sullo Stretto alle osservazioni dell'ufficio di bilancio e della Banca d'Italia sulla manovra, dai provvedimenti delle Corti d'appello sui migranti in Albania ai pronunciamenti dei tribunali sulle registrazioni delle coppie gay: la Meloni talvolta si sente "sotto assedio".

Dunque non c'è Mattarella nel mirino di Giorgia. La premier non ha alcuna intenzione né necessità di alimentare il caso, anzi lo considera "del tutto chiuso", e non saranno le parole al ristorante di Francesco Saverio Garofani a incrinare il rapporto. Le dimissioni del consigliere sarebbero state gradite, ma pazienza. A Palazzo Chigi si rendono conto che in questi tre anni l'approccio del capo dello Stato è stato positivo, non ha cercato di fermare la Meloni, ha cercato di aiutarla a governare. Certo, storie diverse, provenienze opposte, mondi lontanissimi: eppure l'asse ha retto. Basti pensare alla politica estera, alla linea europeista, filo atlantica e di sostegno a Kiev contro l'aggressione russa. Un lavoro di sponda, una copertura istituzionale, che ha contenuto le spinte putiniane di Salvini. E anche sui decreti economici e sulla sicurezza, la consultazione tra i due palazzi ha smussato molti angoli e ha evitato alla premier diverse occasioni di scontro con il Deep State.

Non tutte. Infatti la nomenclatura, vista dall'ottica di Palazzo Chigi, sta diventando non un, ma "il" problema, la ghiaia sulla quale il governo rischia sempre di scivolare, una serie di piccoli e grandi contro poteri che si mettono di traverso. Un esempio su tutti. Da quando il Parlamento ha approvato la riforma della giustizia, con annesse la separazione delle carriere e la duplicazione del Csm, le sentenze contrarie agli atti dell'esecutivo si sono moltiplicate. Flussi migratori, provvedimenti sulla sicurezza, infrastrutture. Poi gli enti, le autorithy, gli organismi tecnici che fanno le bucce ai decreti economici. "La grande palude", dicono.

In questo quadro il caso Garofani ha fatto da detonatore, sollecitando i nervi scoperti di una maggioranza che si sente assediata.

Possibile, si sono chiesti, che pure all'interno del Quirinale, istituzione neutrale per definizione, lavorino per il re di Prussia? Due giorni di alta tensione, con scambi ruvidi di comunicati, prima del chiarimento. Ora è scoppiata la tregua.

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