Donald accusa Hamas, ma teme Bibi

L'indiscrezione del "Nyt": Trump pensa che il premier possa far saltare la tregua

Donald accusa Hamas, ma teme Bibi
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Donald Trump sta imparando strada facendo quanto fragili siano i tentativi di pace in Medioriente. Dopo la trionfale accoglienza alla Knesset e la "storica" firma dell'accordo per Gaza a Sharm el Sheikh, i nuovi scontri di domenica nella Striscia hanno fatto temere al presidente Usa che il suo capolavoro diplomatico possa avere vita breve. Se pubblicamente Trump ha puntato il dito contro Hamas, minacciandone "l'annientamento" se non rispetterà il cessate il fuoco e si rifiuterà di consegnare le armi, a preoccuparlo privatamente è l'altra metà dell'equazione: Benjamin Netanyahu.

È il New York Times a rivelare che per ora, il presidente ritiene che i leader di Hamas siano disposti a proseguire i negoziati in buona fede e che l'attacco ai soldati israeliani sia stato condotto da una frangia marginale del gruppo. Ma nelle discussioni con i suoi consiglieri, Trump teme che a far naufragare l'accordo possa essere soprattutto il premier israeliano, pronto a riprendere i combattimenti con il pretesto dei miliziani che continuano a imperversare a Gaza. Questa la chiave di lettura della visita del vicepresidente JD Vance in Israele, inviato da Trump a dare manforte agli altri due architetti del Piano per Gaza, l'inviato Steve Witkoff e il genero Jared Kushner, nel tentare di tenere insieme la fragile tregua. Una conferma indiretta dei timori della Casa Bianca l'ha data ieri lo stesso Vance, che dopo essere atterrato da poche ore, ha voluto chiarire: "La mia presenza qui non ha nulla a che fare con gli eventi delle ultime 48 ore. Volevo solo vedere come stanno andando le cose". Una classica excusatio non petita, resa nel corso di una conferenza stampa a Kiryat Gat, nel Sud di Israele, dove è presente il contingente Usa del Centro di coordinamento civile-militare. Vance, parlando al fianco di Witkoff e Kushner, non ha nascosto le difficoltà di implementazione dell'accordo siglato meno di due settimane fa. "Ci vorranno molto lavoro e molto tempo" per una pace a "lungo termine", ma "sono ottimista", ha detto.

Quanto ad Hamas, Vance ha rinnovato le minacce già lanciate da Trump - "Se non si comporteranno bene saranno annientati" - ma allo stesso tempo non ha voluto indicare scadenze per il disarmo: "Non credo sia consigliabile dire che questo debba essere fatto in una settimana". È proprio questo il nodo critico per l'avvio della Fase Due del Piano Trump, ed è il motivo per cui i Paesi che dovrebbero mandare i propri soldati a stabilizzare la Striscia, avviando così il ritiro delle forze israeliane, per il momento preferiscono prendere tempo. Lo stesso Trump ha provato a forzare la mano, con un post nel quale assicura che i "nostri grandi alleati in Medioriente e nelle aree circostanti" sono "entusiasti" di mandare "su mia richiesta" le loro truppe a "raddrizzare Hamas". In realtà, fonti diplomatiche riferiscono che nessun Paese è al momento intenzionato a mettere a rischio le proprie truppe. Né, come ha riferito Kushner nella conferenza stampa con Vance, nessuno dei ricchi Paesi donatori del Golfo darà il via ai finanziamenti per la ricostruzione di Gaza fino a quando la situazione militare sul terreno non sarà stabilizzata.

In questo

contesto così volatile, Netanyahu ha sostituito il suo consigliere per la Sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi. Lui stesso ha riconosciuto di avere disaccordi col premier, a cominciare dall'invasione di Gaza City decisa in estate.

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