Non parlava in pubblico da esattamente 15 giorni, da quando in Senato - dopo il suo intervento e la sua replica - si è consumato lo strappo con M5s, Lega e Forza Italia che ha portato alla fine del governo. Ieri, però, Mario Draghi ha scelto di tornare sulla scena. Con tanto di conferenza stampa serale, dopo il Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto Aiuti bis. Per mettere la faccia sul provvedimento, certo. Ma anche per rivendicare i risultati fin qui ottenuti e confermare che resterà alla guida di Palazzo Chigi fino all'ultimo giorno. Nessun disimpegno, insomma. Anzi, il fatto che il governo sia in carica solo per gli affari correnti, ci tiene a dire, «non ha ridimensionato» la sua azione, perché «non ci sono misure che non sono state prese». Quello che c'era da fare, è il senso delle sue parole, lo abbiamo comunque fatto.
L'ex Bce snocciola numeri, sottolinea la crescita del Pil (mai così alta «negli ultimi venti anni») e dell'occupazione («400mila posti in più rispetto al 2021»). E tanto tiene ai dettagli che non perde occasione per dare la parola al ministro dell'Economia Daniele Franco, al suo fianco - insieme al titolare della Transizione ecologica Roberto Cingolani e al sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli - per chiosare e spiegare i risultati ottenuti.
Ma Draghi va oltre. E, sopratutto, lascia intendere di essere ancora in campo. Oggi sicuramente. Ma chissà che non possa farlo anche dopo il voto. Due volte, in conferenza stampa, gli chiedono se esclude una sua permanenza a Palazzo Chigi nel caso il risultato delle urne non dovesse incoronare un vincitore. L'ex Bce si limita a dire di aver «già risposto tante volte a questa domanda», ma si guarda bene dal dire «no». Certo, in più d'una occasione ci tiene a sottolineare che non sta a lui «stabilire le priorità del prossimo governo». Ma non si tira indietro quando gli viene fatto presente che molti partiti invocano la cosiddetta «agenda Draghi». Anzi, la rivendica. «L'agenda Draghi è fatta di due cose», spiega. La prima sono «le risposte pronte alle priorità» che si presentano, dall'emergenza Covid al Pnrr. La seconda è la «credibilità internazionale». Un punto su cui torna più volte. Perché la percezione all'estero è «importantissima per la crescita interna» e «per poter fare tutte le riforme senza vincoli». Non dice che la credibilità internazionale dell'Italia in quest'ultimo anno e mezzo è tutta ed esclusivamente merito suo, ma sarebbe davvero stato superfluo, perché persino i più decisi oppositori di Draghi (da Giuseppe Conte a Matteo Salvini) sul punto non hanno mai fatto obiezioni. Nemmeno Giorgia Meloni, che pure è stata l'unica a non entrare nel governo, ha mai avuto dubbi in proposito. Anzi.
Draghi, dunque, resta in campo. Non mette nero su bianco la sua disponibilità, come fece lo scorso dicembre definendosi un «nonno al servizio delle istituzioni» in piena corsa per il Quirinale. Ma lo lascia intendere. Con tanto di assist a Fratelli d'Italia, visto che avrebbe potuto facilmente svicolare alla domanda sulla necessità di un «patto tra avversari per il bene dell'Italia» invocato da Guido Crosetto in un'intervista al Corriere della Sera. Invece no. Draghi risponde senza girarci intorno: per affrontare l'autunno caldo servirà «coesione sociale e, come ha detto Crosetto, coesione politica», in un «clima di consapevolezza delle difficoltà che gli italiani incontreranno alla fine dell'anno».
E senza dimenticare il decisivo snodo della credibilità internazionale. Anche per questo, Draghi ha deciso di partecipare in presenza all'assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a New York a fine settembre. Il premier sarà a Manhattan dal 19 al 21 settembre. E solo quattro giorni dopo l'Italia andrà alle urne.
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