Economia

E gli otto istituti a rischio affondano pure Piazza Affari

Vendite sui titoli, Milano perde l'1,8%. Nel mirino Mps che può innescare il domino. Morelli cerca 5 miliardi

E gli otto istituti a rischio affondano pure Piazza Affari

M ilano affonda sotto le banche: ieri a Piazza Affari l'indice principale Ftse Mib ha perso l'1,8% trascinato giù dai titoli del credito che sono stati travolti dalle vendite. A cominciare da quelli citati nella «lista nera» del Financial Times secondo cui otto banche italiane rischiano di fallire se vincerà il No al referendum. Quali sono? Il Monte dei Paschi (ieri ha ceduto in Borsa il 13,8%), Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carige (-9,2%) e le quattro «graziate» nel 2015: Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e Cariferrara.

Nessuna sorpresa, dei malanni di queste otto scriviamo da mesi. Lo scorso 22 novembre, ad esempio, il Giornale aveva stimato in almeno 20 miliardi (tra aumenti di capitale e sofferenze da smaltire) l'importo dell'assegno da staccare per rimettere in piedi le otto big del credito senza sacrificarne una sull'altare del bail in. L'intero sistema è comunque appeso al salvataggio del «soldato Monte»: se Mps fallisce la missione, rischiano tutte le altre.

A Siena, dopo avere incassato giovedì il via libera dei soci, l'ad Marco Morelli sta accelerando sul maxi riassetto: ieri è stata lanciata la conversione di 10 bond subordinati e, come previsto, il cda delle Generali ieri ha dato il via libera alla conversione di circa 400 milioni di euro di bond Mps. Nelle 146 pagine del documento dell'offerta sui bond, la banca senese cita 34 volte il rischio di un bail in avvisando gli investitori anche degli impatti negativi che potrebbero derivare da un'ispezione in corso della Bce. Anche se - va detto - è prassi obbligata in prospetti di questo tipo, avvertire cosa succederebbe in caso di flop dell'operazione. Secondo quanto risulta al Giornale, inoltre, Morelli punta a incassare 1,5 miliardi dalla conversione dei subordinati che si chiuderà venerdì 2 dicembre e lo stesso giorno riuscire ad avere già sul tavolo i nomi degli investitori pronti a scommettere fiches milionarie sulla «nuova» Mps per poter varare l'aumento di capitale da 5 miliardi nel fine settimana.

Poi ci sono le quattro good bank: se, incassato il via libera della Bce, Ubi formalizzerà l'offerta per rilevare Etruria, Carichieti e Banca Marche, si stima che il sistema dovrà assorbire 1,8 miliardi di minusvalenze, cioè l'intero valore di carico delle quattro sul Fondo di risoluzione che dispone oggi solo di 760 milioni. C'è infine chi scommette che a primavera servirà un altro miliardo per coprire le perdite 2016 della Popolare di Vicenza (ma la banca smentisce). Quanto a Carige, sta trattando con la Bce sul nodo di quasi 7 miliardi di crediti deteriorati per evitare un nuovo aumento di capitale che qualcuno stima attorno ai 500 milioni. Anche se non è citata dal Financial Times fra le otto a rischio, al destino del Monte è appeso quello di Unicredit (il titolo ieri ha perso il 4,5%) che il 13 dicembre presenterà a Londra il suo nuovo piano industriale e annuncerà l'importo (si stimano 13 miliardi) dell'aumento di capitale da varare nei primi mesi del 2017. La squadra dell'ad Jean Pierre Mustier è al lavoro per vendere le controllate Pioneer e Pekao a prezzi soddisfacenti ma deve anche compensare i minori ricavi a seguito delle cessioni. A pesare su tutte le big nostrane è la montagna da 199 miliardi di euro di sofferenze (Siena ne deve cedere 27 miliardi), attualmente svalutate nei bilanci a 85 miliardi netti. Questo significa che i crediti andati a male sono oggi iscritti nei bilanci delle banche a circa il 43% del loro valore originario. Il rischio è che debbano essere necessarie ulteriori svalutazioni e accantonamenti.

Ergo, nuove ricapitalizzazioni.

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