Sulla violenza del 31 dicembre a Milano ci sono alcune parole che, i politici e la stampa di sinistra, proprio non riescono a pronunciare. Si può giocare con i termini, mescolarli in uno shaker con tutti gli ingredienti più edulcoranti della dispensa del politicamente corretto, ma non si può evadere dalla realtà. Tutti i 18 segnalati sono italiani di seconda generazione di origine maghrebina o stranieri, anche se qualcuno non vorrebbe dirlo. Non è una notizia capziosa, ma è dovere di cronaca. Anche se a qualcuno fa comodo evitare di mettere in discussione la politica delle porte aperte indiscriminatamente, il mito dell'accoglienza a tutti i costi e - soprattutto - i limiti di una certa integrazione. La stragrande maggioranza di immigrati e italiani di seconda e terza generazione è perfettamente inserita nel tessuto cittadino, epperò non si può tacere che una piccola minoranza imperversi sotto la Madonnina.
La Milano di Sala non è solo la città delle sfilate, dei grattacieli che sfidano le leggi della fisica, delle piste ciclabili infinite e ai limiti dell'acrobatico, del design più à la page, dell'inclusivitá da ostentare e delle fermate della metro arcobaleno. È anche la metropoli dove, nel pieno centro - in quella zona 1 da sempre appannaggio del Pd e della sinistra radical chic -, si rischia di essere molestati o rapinati. E hai voglia di svettare nelle classifiche delle città più «fighette» d'Europa se poi hai paura a mandare tua figlia a festeggiare l'ultimo dell'anno in piazza. Questa è disintegrazione, non integrazione.
Il tema dell'inserimento degli extracomunitari nella nostra società (specialmente di chi ha una visione della donna diametralmente opposta a quella occidentale) non si può più eludere, non si può più
declassare a slogan buonista. Né si può, come fa qualche pseudo intellettuale, ridurre tutto alla solita violenza ferina del maschio.Qualcosa nel dorato mondo del modello Milano (e non solo) non ha funzionato, possiamo dirlo?
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