Feijóo sotto accusa nel suo Pp. E Sánchez non vuole sloggiare

Tra i Popolari crescono i malumori sulla leadership. Il premier socialista prende tempo e resta "ad interim"

Feijóo sotto accusa nel suo Pp. E Sánchez non vuole sloggiare
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Sarà una lunga e tribolata estate per la Spagna, alle prese con il tentativo di trovare la quadra per la formazione del nuovo governo, con il rischio di un buco nell'acqua e la prospettiva di nuove elezioni. La porta in faccia sbattuta al Partito popolare dai nazionalisti baschi del Pnv sembra mettere una pietra tombale alle speranze del leader Alberto Núñez Feijóo di ricevere un'investitura per la formazione del nuovo governo. Ormai anche i Popolari sembrano rassegnati e cominciano a mettere in discussione, dietro le quinte, la leadership dell'ex presidente della Galizia, che pure è stato l'artefice del sorpasso sui Socialisti. Il Partito nazionalista basco ha rifiutato l'apertura di una trattativa accusando Feijóo di aver «imbiancato e legittimato» l'estrema destra di Vox. I «baroni» del Pp, dal canto loro, rimproverano al proprio leader una serie di errori: gli attacchi a Vox, nonostante le alleanza a livello locale, l'essere stato precipitoso nel parlare in anticipo di una probabile maggioranza assoluta, aver disertato l'ultimo dibattito televisivo prima del voto e aver fornito spiegazioni poco convincenti sull'amicizia con il narcotrafficante Marcial Dorado trent'anni fa. Feijóo si è difeso davanti ai vertici del Pp: «Non mi pento di aver preteso di vincere di molto rispetto a chi si accontenta di perdere di meno». Ma se il presidente dei Popolari resta in sella, nonostante ci sia già chi pensi al dopo - cioè a una nuova leadership affidata a Isabel Ayuso, la presidente della Comunità di Madrid - è perché, in questa fase, tutte le energie devono rimanere concentrate sull'obiettivo principale: arrivare compatti alle consultazioni con il Re Felipe VI, facendo pressing sul capo dello Stato perché affidi l'incarico al Pp, il partito più votato. D'altra parte, Feijóo non smette di crederci: «Dire che non hai l'appoggio di un gruppo, per il fatto di averci parlato, mi sembra una conclusione affrettata». E dice nel voler parlare con i Socialisti per arrivare a un patto tra i due partiti più votati. In mente ha una sorta di «astensione condizionata», in cambio di un'intesa su diverse questioni.

Ma il leader socialista Pedro Sánchez, da ieri alla guida di un governo «ad interim», non sembra affatto intenzionato a sloggiare dalla Moncloa. Fiducioso di poter ottenere l'investitura dal sovrano, Pedro «El Guapo», il bello della politica spagnola e amante dell'azzardo, pare voglia affrontare senza fretta i contatti con le altre forze politiche, nella seconda metà di agosto, dopo l'insediamento del nuovo Parlamento, e soprattutto «con discrezione», spiega la vicesegretaria del Psoe, Marìa Jesùs Montero. Sánchez, in realtà, ha già mandato in avanscoperta Sumar, l'estrema sinistra sua alleata, per sondare la strada che potrebbe regalargli la riconferma: l'appoggio o quanto meno l'astensione degli indipendentisti catalani di Junts, anche se i Socialisti restano ufficialmente fermi sul loro «no» all'amnistia per i condannati catalani e a un nuovo referendum. «Siamo un partito costituzionalista, tutto deve rientrare in questo quadro costituzionale», ha insistito Montero. Ieri il portavoce di Junts ha chiarito all'Ansa che «parlare con noi vuol dire parlare con Carles Puigdemont», il leader indipendentista che trascinò la Spagna al referendum, europarlamentare in esilio a Bruxelles che ieri, dopo la revoca dell'immunità da parte dell'Ue, è finito al centro di un nuovo mandato di arresto internazionale da parte della Procura spagnola.

Tramite il suo avvocato, Gonzalo Boye, Puigdemont, ha ribadito la richiesta di amnistia spiegando che di mezzo ci sono ben 4mila perseguiti nel processo per il tentativo di secessione: «È il modo più impeccabile e pulito per risolvere un problema che non avrebbe mai dovuto raggiungere i tribunali», insistono gli indipendentisti catalani.

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