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La festa della Liberazione prigioniera della sinistra

La lotta partigiana non fu combattuta solo dai comunisti. E la vittoria fu merito degli Alleati

La festa della Liberazione prigioniera della sinistra

Il 25 aprile, la festa della Liberazione, non è una «esclusiva» della sinistra. Piegarla alla battaglia politica del giorno è un gesto incivile, chi ha combattuto voleva tornare alla democrazia, e in democrazia non si passa il tempo a delegittimarsi buttando sul piatto sempre e comunque la Storia. Cari elettori di sinistra, rassegnatevi: la destra esiste e non è una minaccia per la democrazia più di quanto non lo siate voi, con la vostra intolleranza.

Restiamo comunque alla storia. La lotta partigiana non è stata una sfida tra comunisti e fascisti, anche se la propaganda del Pci è riuscita a far passare questa idea distorta. Doppio l'inganno rifilato al popolo: l'antifascismo è democratico; l'antifascismo coincide con il Partito comunista. Tutto falso. Essere antifascisti non basta per dirsi democratici, è indispensabile essere anche anticomunisti. L'antifascismo, poi, non coincide con le Brigate garibaldine di ispirazione comunista. I partigiani rossi, ovviamente, erano una forza importante dello schieramento antifascista. Ma non l'unica. La loro fedeltà all'Italia è in qualche caso (non indifferente) dubbia. Molti garibaldini erano convinti che la liberazione fosse il preludio alla rivoluzione di stampo sovietico. Stalin disse no, preferiva consolidare il potere sull'Europa orientale e quindi impose la «svolta democratica» di Salerno. Lo dicono i documenti, pubblicati e ormai noti a tutti. Togliatti obbedì. I partigiani andarono a seppellire le armi in attesa di un futuro sollevamento. Ma chi c'era a combattere accanto ai comunisti, cioè alle Brigate Garibaldi, Gap e Sap? Vediamo cosa scrive l'ANPI: «Le formazioni di Giustizia e Libertà, coordinate dal Partito d'Azione. Le formazioni Giacomo Matteotti, del Partito Socialista di Unità Proletaria. Le Brigate Fiamme Verdi, che nascono come formazioni autonome per iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini, e si legano poi alla Democrazia cristiana, come le Brigate del popolo. Le Brigate Osoppo, autonome e legate alla DC e al PdA. Le formazioni azzurre, autonome ma politicamente monarchiche e badogliane. Le piccole formazioni legate ai liberali e ai monarchici, come la Franchi di Edgardo Sogno, o quelle trotskiste, come Bandiera Rossa, e anarchiche, come le Bruzzi-Malatesta». Può bastare per affermare che il 25 aprile non dovrebbe essere la festa di una parte politica? No? Allora ricordiamo anche i soldati italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti, e finirono nei lager. E quelli trucidati sul posto dai tedeschi. E quelli che si unirono agli Alleati. A proposito, senza niente togliere all'eroismo dei partigiani, di fatto furono gli Alleati a buttare i nazisti fuori dall'Italia. I numeri parlano chiaro. Prendiamo quelli snocciolati da Giorgio Bocca nella Storia dell'Italia partigiana (1966). Combattenti al 18 settembre 1943: 1500. A Novembre 1943: 3800. Luglio 1944, stime ufficiali di Ferruccio Parri: 50mila combattenti, 25 mila garibaldini (resteranno sempre circa la metà del totale). Poi le cifre salgono o scendono a seconda delle stagioni. Andiamo al 15 aprile 1945: 130mila. Ed eccoci al 25 aprile: 250-300mila «armati e incoccardati» (Bocca). Molti però non hanno mai sparato un colpo e non sono mai saliti in montagna. Chiaro che senza l'esercito alleato, la Resistenza sarebbe stata solo (e sarebbe comunque tanto) una nobile testimonianza morale dal significato però diverso a seconda dei combattenti.

Non tutti sognavano un'Italia libera e democratica.

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