Ridategli la penna da inviato ma toglietegli il mappamondo da diplomatico. Tra gli incarichi di governo che Alessandro Di Battista (nel tondo) potrebbe presto ricoprire c'è infatti quello delicatissimo al ministero degli Esteri, un tempio di prudenza che trema ancora ricordando le sue parole da deputato: «Con l'Isis bisogna trattare». Più efficiente dei centri per l'impiego che ha promesso di stravolgere, Luigi Di Maio sta cercando in queste ore la posizione migliore per accontentare l'eroe che torna e che vuole un posto nella storia gialloverde. E dunque c'è l'Europa che in questo caso non è da processare ma che può essere merce di scambio («Caro Ale, che ne dici di un posto da commissario Ue?»). E tra le possibilità c'è anche un ruolo da sottosegretario alla presidenza, a fianco di Giuseppe Conte e Rocco Casalino, a spasso per le cancellerie e con l'opportunità di incontrare Donald Trump che da poche settimane ha ottenuto, proprio da Di Battista, il «visto»: «In politica estera Trump si sta comportando meglio di tutti i presidenti Usa precedenti, incluso quel golpista di Obama».
Tutti sanno che il sogno nascosto di Di Battista è la Farnesina che più volte ha chiesto in virtù delle sue competenze da nomade. Spedito per conto della Casaleggio Associati a Medellin per pubblicare Sicari a cinque euro e per incontrare nientemeno che «Il Puma», Di Battista è stato nella scorsa legislatura vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dove è riuscito a far allarmare i giornali liberali di mezzo mondo. In un post del 2014 sul blog di Beppe Grillo, che ormai fa parte della letteratura complottistica e dal titolo «Isis, che fare?», l'Antonio Gramsci del M5s ha sviluppato la sua interpretazione riguardo i grandi conflitti internazionali e spiegato il Novecento come il secolo della colpa americana: tra le responsabilità aver liberato l'Europa dal nazismo. Alimentando le squilibrate teorie che ritengono l'11 settembre una strage organizzata dal capitalismo statunitense, Di Battista è tra i sostenitori che «l'attentato alle Torri Gemelle fu una panacea per il grande capitale nordamericano. Quei 3.000 morti americani vennero utilizzati come pretesto per attaccare l'Afghanistan». In questo vecchio paper dalle fonti storiografiche ubriache, il leader del M5s è stato capace di collegare l'Opec, il Guatemala, il Kuwait, Enrico Mattei, Stefano Bontate, Petroleum Company, Boko Haram, in un unico fritto misto.
Tra i protagonisti oggetto di revisionismo da parte di Di Battista c'è anche Saddam Hussein che nelle sue analisi risulta essere l'ultimo progressista del Medio Oriente: «Sostituì la legge coranica con codici di stampo occidentale. In quegli anni di profonda instabilità regionale, il regime di Saddam divenne un esempio di ordine e sicurezza».
Per la memoria, tra i numerosi crimini contestati al dittatore iracheno, il più ignobile è stato l'utilizzo di gas contro la popolazione curda. Insomma, erano pensieri così spropositati che nel 2014 tutti finirono per seppellire con una sorriso il suggerimento di Di Battista di «smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una trattativa».
Davvero venne da pensare che fosse solamente il sangue alla testa di un esuberante parlamentare che scriveva: «Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta
rimasta a chi si ribella». Per queste sue farneticazioni, il Nyt ha inserito nel 2015 Di Battista tra i grandi politici ballisti del mondo. Ecco, erano fesserie nazionali. Oggi rischiano di diventare trattati internazionali.
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