È una smentita secca da parte del diretto interessato, Chico Forti. Che sarebbe «caduto dalle nuvole» nel leggere sui giornali che dentro il carcere di Montorio, dove è recluso da circa un mese, avrebbe chiesto a un altro detenuto di contattare «amici» ndranghetisti per «mettere a tacere» il direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio, e Selvaggia Lucarelli, particolarmente critici sul suo rientro in Italia. «Forti ha ribadito che non è assolutamente vero. La notizia è falsa. Punto. Mi ha detto di non aver mai fatto e neanche mai pensato quel che il detenuto dice», spiega Andrea Radice, uno degli avvocati di Forti. La Procura di Verona però ha aperto un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato, con il procuratore capo Raffaele Tito che ha fatto sapere di considerare l'indagine «tutt'altro che una fesseria». Sarebbero già stati sentiti tre testimoni. Tra questi ci sarebbe un altro detenuto ancora che avrebbe assistito alla conversazione di Forti con l'interlocutore, colui che avrebbe dovuto prendere contatti con «gli amici ndranghetisti». La persona con cui avrebbe parlato Forti, in ambienti di polizia viene definita una «figura di spessore criminale», non essendo né un boss di mafia né un collaboratore di giustizia. Ma a raccogliere poi la confidenza sull'esistenza di questa presunta conversazione sarebbe stata un'altra persona ancora, che lavora all'istituto penitenziario, con la quale i carcerati entrano spesso in contatto. La stessa che allarmata avrebbe avvertito poi Travaglio. Per tentare di fare subito chiarezza sulla presa di distanza già dichiarata da Forti, i suoi avvocati valuteranno di chiedere alla Procura di Verona di sentire l'ex surfista condannato all'ergastolo dagli Usa: «Mi devo sentire con il mio collega, l'avvocato Carlo Dalla Vedova - spiega Radice - poi decideremo cosa fare». Il legale lo descrive comunque come «incredulo e affranto» da quanto gli è stato attribuito. Anche perché lo stesso testimone che avrebbe assistito a quel dialogo, nell'audizione con gli inquirenti avrebbe precisato che quella conversazione ci sarebbe effettivamente stata, ma non nei termini riportati dalle notizie di stampa.
Lo stesso testimone che ora teme ritorsioni, perché confidava nella segretezza delle rivelazioni. Della vicenda sono stati informati il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la Prefettura di Verona, il Tribunale di Sorveglianza e la Dda di Torino.
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