Morto a 87 anni Franco Marini, il "lupo marsicano" del sindacalismo cattolico

Segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato. Franco Marini, il 'lupo marsicano' del sindacalismo cattolico e della politica della Seconda Repubblica

Morto a 87 anni Franco Marini, il "lupo marsicano" del sindacalismo cattolico

Segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato. Franco Marini verrà ricordato come il 'lupo marsicano' del sindacalismo cattolico e della Democrazia Cristiana che si rifaceva alla corrente di Carlo Donat-Cattin. A inizio 2021 era stato ricoverato in condizioni serie per Covid, ma era stato dimesso il 27 gennaio "con completa guarigione del quadro respiratorio e discrete condizioni generali".

Franco Marini, dall'Abruzzo alla segreteria della Cisl

Franco nasce in Abruzzo, a San Pio delle Camere nel ’33, in una famiglia di umili origini che ben presto si trasferisce a Rieti dove il padre lavora come operaio tessile. La madre, una sarta, muore quando lui ha appena 11 anni. Lui è il primo di 4 figli ma la famiglia si allarga a 7 quando il padre si risposa. I soldi sono pochi e la possibilità di studiare pure ma “un giorno la professoressa di lettere delle medie si presentò a casa e disse: ‘No, questo ragazzo deve andare al liceo’. Mio padre ebbe l’intelligenza di darle retta”, racconterà, poi, Marini che finisce col laurearsi in giurisprudenza. Iscritto alla Dc sin dal 1950, lavora fin da subito dentro la Cisl e nel ’64 lavora per il suo mentore, Giulio Pastore, fondatore della Cisl e all’epoca ministro per il Mezzogiorno. L’anno successivo sposa il medico Luisa D’Orazi con cui era fidanzato da 4 anni e da cui avrà un figlio.“L’avevo già notata quando lei era al ginnasio e io al liceo, ma era una ragazzina. Poi, qualche anno più tardi,- rivelerà - in una di quelle festicciole che si facevano in provincia, i ragazzi di qua e le ragazze di là, mi sono interessato a lei. Ero in licenza. Facevo l’alpino a Bressanone”. Marini, negli anni ’70, diventa vicesegretario del sindacato fino a prenderne la guida nel 1985. In questi anni la Cisl assume un ruolo sempre più importante nel panorama politico-sindacale, rappresentando soprattutto la categoria del pubblico impiego. Nel corso del Congresso del 1984, l’allora segretario Ciriaco De Mita attacca duramente Marini: “Devo dirti che se continui così, caro Marini, non interesserai più nemmeno i democratici cristiani”, e subito dopo “seguono nove minuti di botte selvagge, gente che grida, gente che piange, un operatore tivù malmenato (…)”, ricorda Marco Da Milano nel suo libro Democristiani immaginari.

Gli anni'90, Marini dal sindacato alla guida del Ppi

Le linee guida seguite sono sempre quelle espresse dalla corrente della Dc più vicina al sindacalismo cattolico, chiamata Forze Nuove. Corrente fondata da Carlo Donat-Cattin che, nel ’91, la affida proprio a Marini, da lui soprannominato come “l’uomo che uccide col silenziatore” per il suo essere schivo ma spietato. In quello stesso anno il sindacalista abruzzese diventa ministro del lavoro e della previdenza sociale del VII Governo Andreotti, mentre nel ’92 viene candidato per la prima volta per le Politiche e alla Camera ottiene più di 100mila preferenze. Risultato più che discreto per un ‘debuttante’ e, così, Mino Martinazzoli, all'epoca segretario del Ppi, lo sceglie quale responsabile organizzativo del partito che, nel frattempo, viene travolto dall’inchiesta Tangentopoli. Nel 1997, invece, Marini arriva alla guida del Ppi, partito sorto dalle ceneri della Dc e collocato nel centrosinistra. “Marini? Chi è Marini? Io conosco Martini, il cardinale di Milano, Marini non so chi sia…”, dirà in quel periodo l’allora Papa Wojtyla, a dimostrazione del fatto che il partito erede della Dc non contava nulla e, di conseguenza, anche il suo segretario. In realtà, il Ppi, contribuirà alla vittoria di Romano Prodi alle Politiche del ’96. Nel 1998 Marini è ritenuto responsabile della caduta del primo governo Prodi. È noto che i rapporti tra l’ex segretario della Cisl e il ‘Professore’ siano sempre stati tesi e che Massimo D’Alema avesse promesso a Marini il Quirinale pur di far cadere l’esecutivo. Poi, però, Carlo Azeglio Ciampi viene preferito a Marini il quale, nel ’99, abbandona la segreteria del Ppi e viene eletto come eurodeputato. “Non sono arrabbiato con D’Alema sono furibondo. Io mi sono fidato di lui, e lui mi ha fregato”, dirà Marini del 'lìder Maximo' della sinistra italiana.

Dalla presidenza del Senato alla mancata elezione al Colle

Il Ppi sparisce con la nascita della Margherita che darà vita, insieme ai Ds, al Partito Democratico tra le cui file Marini si candiderà nel 2006 per un posto a Palazzo Madama. Una volta eletto, l’ex segretario della Cisl viene eletto Presidente del Senato, al terzo scrutinio, dopo una votazione al cardiopalma. Con 165 voti Marini batte il senatore a vita Giulio Andreotti che poteva contare sull’appoggio del centrodestra. Dopo le dimissioni di Romano Prodi, nel 2008, il presidente Giorgio Napolitano gli affida un incarico esplorativo per verificare la possibilità che nasca un governo che modifichi la legge elettorale ma il tentativo di Marini fallisce e si torna alle urne.

Nel 2013 Marini si trova di nuovo in corsa per il ruolo di presidente della Repubblica. Bersani, poco dopo le Politiche, si accorda con Berlusconi per eleggerlo fin dal primo scrutinio. Ma qualcosa va storto. Matteo Renzi, all’epoca ancora semplice sindaco di Firenze uscito sconfitto dalle primarie per la leadership dell’anno precedente, si mette di traverso considerando Marini emblema di quella ‘kasta’ tanto vituperata. Nel libro di Mario Giordano, Tutti a casa, uscito sempre nel 2013, si scopre che Marini e sua moglie erano proprietari di un loft di circa 300mq ai Parioli che, secondo l’Espresso, sarebbe stato pagato poco meno di un milione di euro. Marini, quindi, non riesce ad essere eletto, sebbene abbia ottenuto 521 su 672. Nei giorni precedenti il voto, a far discutere, è soprattutto una lettera di Matteo Renzi, pubblicata su Repubblica, in cui il primo cittadino di Firenze aveva ricordato che Marini era stato candidato in deroga alle regole del suo partito ma non era stato eletto e, quindi, era ingiustificabile questa sorta di “ripescaggio di lusso”. Non solo. Renzi ricorda anche che Marini era già stato ‘trombato’ 15 anni prima e smonta persino il ‘teorema’ secondo cui occorreva eleggere un ‘presidente cattolico’. “Mi sembra invece gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione e rappresentante del Paese”, scrive il sindaco di Firenze. “Con la sua lettera invece è proprio Renzi che ha commesso il grave errore che mi addebita: usare la religione a fini politici. Cosa assolutamente inaccettabile”, sarà l’immediata e piccata replica di Marini.

Qualche giorno dopo, invece, dirà:“Il dramma non è nato quando io ho avuto 521 voti, ma quando Bersani, per questo ‘non governo’ del partito, ha deciso di cambiare strategia e ha chiamato Prodi dall’Africa e lui è stato bruciato”. Concluderà la sua vita pubblica come presidente del comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale.

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