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Funerali di Stato. Il livore finale contro il leader che ha battezzato un pezzo di storia

Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani

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Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani. La furia antiberlusconiana non si ferma neanche davanti alla morte del fondatore del «core business» (come disse il Cavaliere a Travaglio nella celeberrima puntata di Annozero passata alla storia per la spazzolata) sul quale hanno campato lautamente gli odiatori seriali di ogni risma.

Così, nel giorno della scomparsa del leader di Forza Italia, mentre la maggioranza dei cittadini e dei politici - di destra e di sinistra - rende omaggio a un uomo che ha fatto la storia di almeno tre decadi del nostro Paese, una sparuta pattuglia di irriducibili (senza dignità) continua ad attaccare il Cavaliere anche ora che non può più difendersi.

E il nuovo livello dello scontro - con sprezzo del possibile - è ancora più infimo di quello che abbiamo conosciuto negli anni dell'odio più velenoso. Non solo per le tempistiche degne del peggior sciacallaggio. L'idea è che Silvio Berlusconi non sia abbastanza un uomo di Stato da meritare i funerali di Stato e il lutto nazionale. Silvio Berlusconi, l'uomo che ha seduto per più giorni a palazzo Chigi nella storia della Repubblica italiana e il politico che nel corso della sua carriera ha raccolto un bottino ineguagliato di 240 milioni di preferenze. Ma evidentemente non è abbastanza, non è sufficiente a giustificare una celebrazione non solo doverosa, ma che costituisce solo un minimo risarcimento per le persecuzioni e gli attacchi subiti dal fondatore del centrodestra.

Così, gli ultimi giapponesi della sinistra anti Cav, cercano di mettere a reddito anche i giorni del dolore per guadagnarsi uno strapuntino di visibilità: giurano di non esporre la bandiera a mezz'asta fuori dagli atenei universitari, si lamentano dei ricordi pubblici delle istituzioni come se Berlusconi non ne fosse stato un rappresentante di prim'ordine o, peggio ancora, sminuiscono o trasfigurano il ruolo politico che ha avuto nella nostra storia recente. «Berlusconi catastrofe del Paese», «Egolatra pioniere dell'antipolitica», «La Repubblica del banana» titolano i giornali progressisti, accodandosi, come diligenti scolaretti, ai peggiori istinti della sinistra più violenta.

Gettando benzina su un fuoco che non è più incendio e che, proprio in questi ultimi mesi e anni, aveva iniziato a spegnersi. Trasformando anche un lutto in una lotta, in un'occasione di divisione nazionale, di guerra civile ideologica permanente e strisciante, in sordida tifoseria da stadio. È l'ultima infamia di chi lo ha perseguitato da vivo e ora cerca di infangarlo anche da morto.

L'ultima reazione isterica e scomposta di chi sa di avere comunque perso.

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