Magistratura

Gabinetto di guerra sul caso dossieraggi. "Alert e verifiche contro gli abusi"

L'esecutivo dichiara guerra a spioni e investigatori infedeli. Ieri pomeriggio a Palazzo Chigi c'è stato un summit che ha messo a tema l'allarme dossieraggi scaturito dall'inchiesta di Perugia

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L'esecutivo dichiara guerra a spioni e investigatori infedeli. Ieri pomeriggio a Palazzo Chigi c'è stato un summit che ha messo a tema l'allarme dossieraggi scaturito dall'inchiesta di Perugia e ha messo a punto una serie di soluzioni «per rendere più stringente il sistema dei controlli, con adeguati alert atti a scongiurare gli abusi e con verifiche periodiche». Una riunione coordinata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano («Cruciale un intervento normativo sulla cybersecurity») alla quale hanno preso parte il governatore di Bankitalia Fabio Panetta, il viceministro all'Economia Maurizio Leo, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, il capo della Polizia Vittorio Pisani, il Comandante generale della Guardia di Finanza Andrea De Gennaro, il direttore dell'Uif Enzo Serata, e i vertici dell'intelligence e dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale. «Durante l'incontro sono stati affrontati i problemi relativi agli accessi illeciti alle banche dati informatiche pubbliche, anche alla luce delle recenti vicende di dossieraggio», recita il comunicato.

Sembrano intanto archiviate le polemiche sulle presunte frizioni tra il Guardasigilli Carlo Nordio («Figurarsi se c'è una distanza tra di noi») e il premier Giorgia Meloni: «Con lui abbiamo parlato di tutto, della riforma della giustizia e di altri temi», sottolinea la leader Fdi, nel giorno in cui la commissione Giustizia della Camera inizia l'esame del provvedimento su abolizione dell'abuso d'ufficio e la stretta sulle intercettazioni, già approvato in prima lettura in Senato lo scorso 13 febbraio. Non è un mistero che sui dossieraggi il ministro avesse chiesto una commissione d'inchiesta sulla vicenda e che la leader Fdi preferisca che al momento l'Antimafia (che ha già potere giurisdizionale) affianchi senza sovrapporsi la magistratura nella delicata indagine, poi si vedrà. Entrambi vogliono andare fino in fondo in una vicenda che - se dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio - coinvolgebbe magistratura, politica, imprenditoria e giornalismo in una pericolosa spirale eversiva, come dimostra il vertice di Palazzo Chigi

Intanto si aggiungono nuovi inquietanti scenari nella vicenda dei presunti dossieraggi orchestrata dal tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano, responsabile dell'Ufficio Sos (Segnalazione di operazioni sospette) della Dia, che avrebbe inviato documenti riservati ad alcuni giornalisti (tre del quotidiano Il Domani) e su cui indaga la Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone. Un pasticcio che si intreccia con le chat interne alla procura perugina rivelate nei giorni scorsi da alcuni quotidiani - con giudizi poco lusinghieri su Cantone e sul Pg Sergio Sottani - su cui a brevissimo dovrà pronunciarsi il Csm. Striano tace, il legale Massimo Clemente giura: «Dietro di lui né politici né 007».

Tra le pallottole di carta piovute sui protagonisti fa rumore quella del Fatto quotidiano, che nel mirino mette a sorpresa il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo. In un pezzo di Marco Lillo su fonti della Procura di Roma il quotidiano diretto da Marco Travaglio da un lato conferma che Striano aveva una sessantina di dossier «pre-investigativi» di cui erano informati i suoi superiori, dall'altro riporta che Striano avrebbe detto di aver avuto un colloquio «riservatissimo» proprio con Melillo il 22 agosto 2022, cui seguì una «relazione riservata». La domanda è: Melillo sapeva dei dossier? Di certo dal 5 dicembre l'organizzazione interna e il protocollo cambiano quando si scoprono ufficialmente i 59 dossier «pre-investigativi» di Striano («una prassi», ammette una fonte al Giornale). Ma se Melillo sapeva qualcosa, anche l'ex numero uno dell'Antimafia Federico Cafiero de Raho, oggi in Parlamento in quota Cinque stelle, non può chiamarsi fuori. E questo spiega i dubbi del centrodestra che vorrebbero una sua audizione nella commissione in cui è vicepresidente. Un pasticcio irrisolvibile ma anche un conflitto d'interessi.

Mentre i boss mafiosi se la ridono.

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