Il nuovo lessico del potere

La Gen Z, chi è nato con l'iPhone in mano, mostra un potere reale, trasversale e globale, ma non sa ancora controllarne gli effetti né orientarne gli esiti

Il nuovo lessico del potere
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Quel che colpisce delle proteste della Gen Z nel mondo è quanto suonino familiari. Uno slogan su un cartello a Kathmandu ci appare tremendamente simile a come parla un diciottenne a Roma. Un ragazzo di Londra capisce più un coetaneo a Bangalore, che il vicino di casa sessantenne. Non è un caso. La cultura giovanile globale, alimentata dai social, lega movimenti esplosi in Indonesia, Kenya, Perù, Nepal, Marocco e Madagascar. Orienta manifestazioni a Washington, Roma e Buenos Aires. Ovunque la miccia è diversa - blackout, censura dei social, proteste a Trump o più genericamente antioccidentali - ma la dinamica è la stessa: giovani digitali, disillusi e spesso poco informati che manifestano, rovesciano governi o li mettono in crisi.

Questi movimenti rivelano un paradosso: la Gen Z, chi è nato con l'iPhone in mano, mostra un potere reale, trasversale e globale, ma non sa ancora controllarne gli effetti né orientarne gli esiti. Attenzione: il suo linguaggio fatto di meme, reel e TikTok non è semplicemente folclore. È politica. Una politica che non risiede più nei parlamenti ma nei feed di Meta, nei server di Discord, nei dibattiti su Reddit, negli algoritmi cinesi di TikTok e nei suoi video virali. È un'energia diffusa che scavalca partiti e ideologie tradizionali: non si organizza, esplode e diventa piazza, ormai non più mossa dai megafoni del passato.

La politica, in fondo, si è sempre riassunta nella capacità di orientare il futuro grazie al consenso. Oggi quel consenso nasce nella viralità digitale. Lo strumento è diventato politica, e causa ed effetto si sono capovolti. Le mobilitazioni per Gaza, con piazze piene di under 30 in tutto il mondo, lo dimostrano: un video su TikTok smuove più coscienze di un editoriale, figurarsi di un'intervista a Landini sul Corriere. Non è solo questione di forma, ma di sostanza: il messaggio è cambiato perché è cambiato il pubblico. La Gen Z condiziona i media e la Cina, tra le grandi potenze, è oggi la più consapevole di questo potere. C'è chi afferma che il braccio di ferro commerciale tra Washington e Pechino sia, in realtà, per buona parte condizionato dalla sorte di TikTok negli Stati Uniti. C'è un fondo di verità.

Tra i grandi del mondo, è stato proprio Donald Trump il primo a capirlo. Il suo linguaggio, fatto di slogan, meme e provocazioni, è esploso anche grazie a Musk, che ne ha amplificato ritmo e rumore nell'ultima campagna presidenziale. Ogni post di Trump è insieme campagna permanente e notizia. Gavin Newsom, governatore della California, da qualche mese comunica come lui: i democratici, prima scandalizzati da Trump, oggi si ritrovano un probabile candidato presidente impegnato a diventarne una copia.

Nei prossimi decenni il sorpasso del resto del mondo sull'Occidente sarà definitivo, almeno sul piano economico. La crescita economica seguirà quella demografica, insieme alla fame di futuro. Il vecchio mondo, invecchiato per davvero, diventerà una minoranza ricca ma marginale, anche nei temi e nelle mode dell'agenda mediatica globale. Sta già accadendo.

Resta il tema per questa generazione: cosa succede dopo le rivolte? In Madagascar il presidente è fuggito, ma il potere è finito ai militari. In Nepal i giovani sono stati prima ascoltati, poi dimenticati. La spinta c'è, manca la direzione.

La politica, se vuole

sopravvivere, deve aggiornare il proprio linguaggio senza restare soffocata dai meme e costruire una proposta che parli a un nuovo pubblico. Ovunque, anche a casa nostra. Orientare questa energia, prima di esserne travolta.

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