Germania, motore (sfiatato) d'Europa

Berlino si auto-fustiga sul rigore danneggiando tutti. A che titolo alza la voce sulle nomine?

Germania, motore (sfiatato) d'Europa
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La Germania non è il malato d'Europa, ma è «stanca» e ora ha bisogno di «una tazza di caffè forte». È la rassicurazione data dal ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, sullo stato di salute dell'economia del suo Paese al Forum economico mondiale di Davos, a gennaio scorso. Da allora, gli indicatori in negativo da mesi sono in parte migliorati, ma la preoccupazione rimane elevata per il paziente Germania.

Dopo la recessione nel 2023, con una contrazione del Pil dello 0,3%, per l'anno in corso il governo federale stima una crescita della stessa entità, che dovrebbe aumentare all'1% nel 2025. «Non possiamo essere soddisfatti», ha ammesso il ministro dell'Economia e della Protezione del clima, Robert Habeck. Il caffè viene servito, ma col contagocce: è la caffettiera a non funzionare o, meglio, il semaforo è in cortocircuito. Debole perché diviso, il governo rosso-verde-giallo tra socialdemocratici, ecologisti e liberaldemocratici stenta a dare la rotta sull'orizzonte politico ed economico a una Germania che, dopo 16 anni di «pax merkeliana», si è risvegliata in una realtà ben diversa dal suo rassicurante passato. Oltre alle fratture nell'esecutivo, gravano sull'economia fattori esogeni che frenano la ripresa intersecandosi con le caratteristiche endogene del modello Germania. Sono le crisi intrecciate degli ultimi anni: indebolimento del commercio internazionale, Covid-19, rincaro dell'energia, guerra della Russia contro l'Ucraina. Come un ariete, il rincaro del gas e il conflitto hanno colpito le mura della Germania quale selbstbewusste Nation, «nazione sicura di sé». Sono così venute meno le certezze di cui i tedeschi hanno bisogno per orientare la loro azione, come mercati dove esportare il Made in Germany e una Russia amica da cui acquistare energia a prezzi facili. Allo stesso tempo, la Cina, primo mercato dell'import tedesco, è sempre più aggressiva e i rapporti Berlino-Pechino sperimentano ripetute tensioni.

Con l'aggressione russa contro l'Ucraina è crollato il mito del Wandel durch Handel, il «cambiamento con il commercio» come capacità tedesca di orientare i regimi autocratici verso la democrazia attraverso gli scambi. Si è poi rivelata spuntata la Wunderwaffe, l'«arma miracolosa» dell'export quale garanzia di successo tramite gli straordinari avanzi della bilancia commerciale. Allo stesso tempo, nonostante gli appelli del governo federale alla diversificazione per non ripetere l'errore della dipendenza dalla Russia, le imprese tedesche continuano a riversare capitali in Cina, dove i loro investimenti hanno toccato nel 2023 il massimo storico di 11,9 miliardi.

La Germania deve dunque reinventarsi, se vuole recuperare nella competitività internazionale dove sta scivolando sempre più indietro, come dichiarato dal presidente della Federazione dell'industria tedesca (Bdi), Siegfried Russwurm. Tuttavia, il governo del cancelliere Olaf Scholz non è immune da quella miopia strategica che storicamente caratterizza le classi dirigenti a Berlino. La disputa sull'aumento della spesa pubblica in corso nell'esecutivo federale impedisce l'accordo sulla finanziaria 2025 ed è emblematica di una Germania che rallenta se stessa pur di venerare il feticcio del «freno all'indebitamento», il vincolo di bilancio previsto dalla sua Costituzione. Le stesse dinamiche si ripetono nell'Ue. Da un lato la Germania vuole preservare il suo ruolo di egemone, per quanto in difficoltà, come ha dimostrato il recente accordo sulle nomine dei vertici dell'Unione europea.

Dall'altro, la stessa Germania rifiuta categoricamente il grande balzo in avanti che verrebbe compiuto con il debito comune perorato dall'Italia, anche soltanto per il finanziamento delle spese per la difesa secondo la proposta della Commissione europea. La Germania non sarà ammalata, ma non appare più la locomotiva d'Europa. Anzi, priva di una guida sicura e innovatrice, rischia di deragliare.

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