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La giornata chiave per la premier. Ora la grande prova diventa il 25 Aprile

C'è attesa su come agirà la Meloni per la festa della Liberazione e come riuscirà ad uscire dalla morsa fascismo-antifascismo. E Palazzo Chigi invoca "calma e lucidità"

La giornata chiave per la premier. Ora la grande prova diventa il 25 Aprile

E adesso, dopo sei mesi di governo, Giorgia è arrivata alla prova del 9, anzi del 25, nel senso del 25 aprile. Tutti gli occhi infatti sono su di lei, su quello che dirà per la festa della Liberazione, su come riuscirà ad uscire dalla morsa fascismo-antifascismo, su quello che farà per non essere risucchiata nella nostalgia del Ventennio per colpa di una serie di uscite infelici e di proposte di legge avventate di esponenti anche di punta di Fratelli d'Italia. A Palazzo Chigi l'umore è pessimo. Proprio ora, dicono, dopo la fatica per accreditarsi a Bruxelles come leader responsabile, proprio in questo momento, che tocca battagliare sulle riforme e il Pnrr, abbiamo dato l'impressione che vogliamo guardare indietro: sembra quasi che sulla Resistenza Alleanza nazionale vent'anni fa fosse «più avanzata di noi». Se non vogliamo schiantarci, servono calma lucidità «da parte di tutti».

La furia della Meloni ha indotto Ignazio La Russa a una vistosa correzione. «Le mie parole volevano portare pace, non polemica. Non ho detto che quelle di via Rasella erano truppe di occupazione nazista perché era scontato». Non è bastata però la precisazione del presidente del Senato per chiudere il caso. Anzi, l'opposizione cavalca lo scivolone e chiede le dimissioni di La Russa da Palazzo Madama. «Non permetteremo alla destra di riscrivere la storia, la Liberazione sarà una festa di lotta e mobilitazione», dice Elly Schlein. Ma anche nella maggioranza parecchi hanno storto la bocca. Giorgio Mulè, Forza Italia, e Claudio Durigon, Lega, parlano di «un'uscita poco opportuna».

Antonio Tajani prova a guardare avanti. «Non è il momento di aprire dibattiti storici, il fascismo è morto nel 1945 e la Resistenza è patrimonio di tutto il Paese. Non c'è da politicizzarla». Eppure è proprio quello che sta succedendo perché, viste da Palazzo Chigi, certe iniziative come la tutela della lingua italiana attraverso controlli e multe proposta da Fabio Rampelli, sono controproducenti e danno solo «fiato alla sinistra». Tafazzismo anche a destra? Voglia di protagonismo non richiesto? Fuoco amico?

Comunque sia Giorgia Meloni è costretta ancora una volta a tamponare, dedicare energie a questioni diverse piuttosto che concentrarsi sui problemi reali del Paese. È accaduto pure con il Pnrr, quando alcuni dei suoi hanno calcato un po' troppo la mano indicando Mario Draghi come responsabile dei ritardi dell'applicazione del piano. È dovuto intervenire Sergio Mattarella, che l'altro giorno l'ha invitata a colazione e in un'ora e mezzo di colloquio l'ha convinta a far abbassare i toni. Potete criticare, avere il vostro punto di vista, questo il senso delle raccomandazioni del presidente, però dovete mettervi voi nelle condizioni di poter trattare con Bruxelles. L'attacco frontale all'Europa e al governo precedente non conviene nemmeno all'attuale esecutivo.

E sta riaccadendo con il 25 aprile. La premier, anche per la sua età, ritiene di non doversi sottoporre a un esame di antifascismo. Però, grazie a una sequela di piccoli episodi, il tema è tornato centrale e soprattutto e riuscito a riunificare un centrosinistra.

Anpi non vuole che La Russa parli a Milano, il sindaco Sala invece sarà sul palco perché «si rischia un'omissione della nostra storia». Adesso fari su Giorgia: riuscirà a difendere la sua identità senza lasciare zona grigie sul fascismo? A pronunciare un discorso da moderna leader europea?

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