Una provetta cancella la legge di Filomena

Il giudice: i figli a chi li ha partoriti. Ma è giusto?

Una provetta cancella la legge di Filomena

È come una vecchia ninna nanna. Sventurato quel giudice che non ha leggi a cui appellarsi. Te lo immagini lì, che aspetta, che si riserva il diritto di decidere e intanto culla le sue incertezze, sussurrando: ninna oh, ninna oh, questi bimbi a chi li do.

Non c'è una risposta. Non c'è più. Non vale la legge di natura, perché l'uomo l'ha ingarbugliata. Non vale la legge di Dio e neppure lo Spirito Santo. Non ci arriva la ragione. Non c'è una regola e non c'è religione. Di chi sono i figli? È questa la domanda di questa epoca incerta. Sono di chi li tiene in pancia o di chi li ha battezzati con il suo Dna? Il ventre o la genetica? Ninna oh, ninna oh. Alla fine la risposta è arrivata. Non è assoluta e forse non è per sempre. Ma per ora i gemelli sono di chi li ha partoriti. E allora partiranno i ricorsi e ci vorrà tempo e resteranno le cicatrici e i dubbi, e le paure di chi ha vinto e le ferite di chi ha perso. Perché parliamoci chiaro, qui è il diritto che non ha più certezze, quelle fondamentali, quelle poche che aveva. Tra queste quella antica, che sembrava scolpita nella roccia di tutti i codici. Ve la ricordate? Mater semper certa, pater numquam . Ecco. È bastato uno scambio di provette, un'etichetta sbagliata, per mandare tutto in frantumi. La madre non è più certa e il padre resta numquam. I padri potevano sempre essere molti, incerti, indefiniti, sconosciuti, irrisolti, vigliacchi, irresponsabili, fuggitivi e senza nome. La madre no. La madre era una sola. E se ce ne era una di troppo i conti non tornavano: una delle due mentiva. Adesso neppure Salomone saprebbe trovare la risposta. Il primo «Libro dei Re». Due donne si presentano da Salomome: ciascuna aveva partorito un figlio a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro ed entrambe dormivano nella stessa casa. Una notte accadde che uno dei due bambini morì e sua madre, secondo l'accusa, aveva scambiato il figlio morto con quello vivo dell'altra donna mentre questa dormiva. Salomone, dopo aver ascoltato le due donne sostenere più volte le loro tesi, fece portare una spada e ordinò che il bambino vivente fosse tagliato a metà per darne una parte a ognuna delle due donne. È l'amore la ratio della sentenza. La vera madre supplica il re di consegnare il bimbo all'altra donna, pur di salvarlo.

E adesso? Adesso di chi sono i figli? Di chi ci mette gli embrioni, di chi li porta in pancia, di chi li registra all'anagrafe, di chi li ordina in provetta, di chi presta l'utero, di chi li rivendica, di una famiglia allargata o di una famiglia atipica, del genitore uno e del genitore due. Figli di tutti e di nessuno. Figli per forza. Figli della burocrazia e con lo Stato garante assoluto della famiglia, sacra e indefinita. E con il dubbio che adesso più che l'amore vinca l'egoismo. Il figlio come diritto inalienabile o come capriccio. Il figlio fatto con gli occhi di un'altra. Il figlio cercato e voluto e che non arriva. La procreazione imbrigliata e assistita, senza più misteri, ma ancora con qualche errore.

I figli, dicevano a Napoli, sono di chi li cresce. Ed è giusto, ma qui stiamo ancora prima. Stiamo al «chi» li deve crescere. Qualcuno ha scritto e detto che al danno dello scambio si è aggiunta la beffa. Per una delle due coppie la procreazione non ha funzionato. Sono rimasti quindi due gemelli per una mamma sola. E non era certo il caso di dividerli. Ma se le mamme fossero state due allora si poteva fare il baratto. Io ti ridò i tuoi e tu mi ridai i miei. Tremendo. Nessuna delle due donne può averlo solo pensato. Sicuro. I figli non sono, non possono essere, merce. Non dovrebbero esserlo. E non si comprano nei centri commerciali. Non si prenotano, non si ordinano, non si disegnano. Non sono avatar. I figli non si scelgono.

Come diceva Filumena Marturano? « Figlie so chille che se teneno mbraccia ... E figlie so' ffiglie... E so' tutte eguale». Edoardo De Filippo lo sapeva che la famiglia non poteva reggere. Lo aveva sentito sulla pelle. È che senza padre si sopravvive.

Ti devasta, ma resisti. Si va avanti anche senza madre e senza nessuno. È con troppe madri che il cielo si capovolge e il mondo si smarrisce. I figli sono figli e sono tutti uguali. Le mamme no. Di mamma ce n'è una sola.

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