
Il governo sta cercando di trovare i fondi per aumentare le spese necessarie per la difesa. E guarda anche all'Europa. L'Italia, infatti, ha deciso di aderire formalmente al fondo europeo Safe (Support to Ammunition production for Europe), destinato a rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa continentale. Dietro la sigla c'è molto più di un acronimo rassicurante: c'è una scelta politica ed economica precisa, quella di rilanciare l'autonomia strategica europea partendo da un presupposto chiaro senza difesa non c'è sovranità. L'adesione al fondo da parte dell'Italia assume un significato ancora più rilevante nel contesto del piano nazionale di spesa militare già delineato per il quinquennio 2026-2030.
Si sta infatti avvicinando il momento in cui i nodi del piano ReArm Europe verranno al pettine. La presidenza polacca dell'Unione europea ha chiuso a maggio l'accordo per il via libera al fondo Safe, che metterà a disposizione 150 miliardi di prestiti agevolati ai Paesi per le spese militari. È il piano per regolare i rapporti di forza con gli Usa.
La mossa ha una doppia valenza. Da un lato consente all'Italia di cofinanziare con risorse europee programmi già pianificati, come il potenziamento delle capacità missilistiche, l'aggiornamento dei sistemi radar, lo sviluppo di tecnologie dual use e il supporto all'industria nazionale nel comparto aerospaziale. Dall'altro, consente un alleggerimento del bilancio statale, grazie alla possibilità di ricomprendere buona parte di queste spese all'interno del perimetro Safe, riducendo così la pressione sui conti pubblici nazionali. È un'operazione che può sembrare di ingegneria finanziaria, ma che mette in campo anche una visione strategica. L'Italia non solo si allinea con gli obiettivi comunitari di rafforzamento della difesa, ma riconosce la necessità di non restare indietro nella corsa globale alle tecnologie militari e alla sicurezza energetica e infrastrutturale. Safe, in questo senso, diventa uno strumento per trasformare il vincolo in opportunità: permette di investire sul futuro della difesa italiana senza compromettere la tenuta del bilancio, garantendo al contempo ritorni industriali e occupazionali.
È una scelta che rafforza il legame tra difesa e industria, tra sicurezza e competitività, e che segna un ulteriore passo verso una politica comune europea
in un settore finora lasciato alla sovranità nazionale. Una scelta che avviene in un momento in cui la necessità di una difesa europea più integrata è un obiettivo sempre più sentito da molti Paesi del Vecchio continente.