Il sito di Charlie Hebdo hackerato. L'Iran che annuncia la chiusura dell'Ifri, l'Istituto francese di ricerca nella Repubblica islamica. E poi la Francia che risponde a Teheran, dopo aver preso atto della convocazione dell'ambasciatore di Parigi: «La libertà di stampa esiste» in Francia, «contrariamente a quanto sta accadendo in Iran».
La pubblicazione delle 35 vignette sulla Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei, frutto di un concorso indetto dal giornale francese, non smette di infiammare le relazioni tra Teheran e Parigi. La giustizia francese ha aperto ieri un'inchiesta, sollecitata dalla denuncia della redazione della rivista satirica, per l'attacco informatico di cui è stato oggetto il sito web della testata, attraverso il quale sarebbe stato portato a compimento anche il furto di dati relativi agli abbonati al giornale.
Una notizia, quella del sabotaggio, che fa il paio con un'altra, annunciata invece in via ufficiale dalle autorità di Teheran: la chiusura di un istituto di ricerca francese con sede a Teheran, in segno di protestare contro le vignette. «Nel rivedere le relazioni culturali con la Francia e nell'esaminare la possibilità di continuare le attività culturali francesi in Iran, il ministero sta ponendo fine alle attività dell'Istituto francese per la ricerca in Iran come primo passo», si legge in una nota del ministero degli Esteri iraniano.
Parigi spiega di non essere stata ufficialmente informata della chiusura, che il Quai d'Orsay definisce in ogni caso «deplorevole, se confermata», con la portavoce della ministra degli Esteri francese che ricorda l'Ifri come un «luogo importante di cultura e di scambi». E la ministra degli Esteri francese Catherine Colonna ne approfitta per ricordare le differenze tra Francia e Iran e ricordando che il reato di blasfemia non esiste a Parigi e dintorni: «In Francia esiste la libertà di stampa. La cattiva politica è quella seguita dall'Iran che pratica la violenza contro la sua stessa popolazione», ha spiegato.
Mentre la rivolta non si ferma in Iran, dal regime arrivano segnali contrastanti. Da una parte l'ennesima condanna a morte nei confronti di un manifestante, in questo caso un disabile di 22 anni accusato di «corruzione sulla terra», dall'altra nuove indiscrezioni su un possibile alleggerimento delle sanzioni in caso di violazione della legge sul velo in vigore nella Repubblica islamica. Lo ha riferito il quotidiano riformista Shargh, secondo cui l'alleggerimento non comporterà in ogni caso alcuna modifica al codice di abbigliamento islamico. Con la riforma, se una donna dovesse violare l'obbligo di indossare il velo potrebbe evitare la punizione qualora garantisse per iscritto che l'infrazione non si ripeterà. Se la «colpevole» fosse invece recidiva o si rifiutasse di firmare, allora potrebbero essere inflitte delle sanzioni.
Intanto, secondo una fonte anonima, il giudice ha
risposto così dopo l'ammissione del mnifestante Mansour, disabile, «di aver lanciato delle pietre e dato fuoco a una gomma: «Chiunque protesti contro il governo di Khamenei - ha detto il magistrato - sarà condannato a morte».
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