Hamas pretende la fine della guerra

Trump annuncia il sì di Israele all'ultima proposta di tregua. Ma restano le distanze

Hamas pretende la fine della guerra
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Ora o mai più. A quattro giorni dalla visita di Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca si apre un'altra - l'ennesima - opportunità per raggiungere una tregua nella Striscia di Gaza. Potrebbe essere quella cruciale, adesso che il regista dell'asse della resistenza anti-Israele, l'Iran, ha subìto un duro colpo militare dopo la guerra dei 12 giorni. Nella notte fra martedì e mercoledì Donald Trump ha annunciato che Tel Aviv ha accettato di finalizzare i termini di un cessate il fuoco di 60 giorni e ha esortato Hamas a dare il proprio consenso. Dopo il "successo" militare in Iran al fianco di Israele, il presidente americano spera di rivendicare un successo diplomatico a Gaza, particolarmente atteso dalla comunità internazionale a causa delle atroci sofferenze che stanno vivendo i civili palestinesi. Il momento sarebbe perfetto per l'annuncio di un cessate il fuoco, in occasione della visita allo Studio Ovale dell'alleato di ferro Netanyahu. Ma la strada è, come sempre, impervia e insidiosa. Hamas annuncia di essere "pronta ad accettare qualsiasi iniziativa che porti chiaramente alla fine completa della guerra". Il gruppo estremista continua insomma a porre le condizioni che finora Israele ha sempre rifiutato: il ritiro dalla Striscia dell'Idf (le Forze di Difesa israeliane), la cui formulazione ritiene ancora "vaga", e poi la fine del conflitto, arrivato a 636 giorni e quasi 57mila morti (oltre 70 ieri). Gli islamisti parlano di "sforzi intensi" per colmare le divergenze e di "grande responsabilità" nell'affrontare la trattativa. Ma le loro posizioni non sembrano essersi modificate di un millimetro rispetto ai mesi scorsi, così come l'ostinazione di Israele a non voler indicare una data di fine conflitto fino a che tutti gli ostaggi non saranno tornati a casa. Ai vecchi contrasti si aggiunge adesso anche la questione degli aiuti umanitari, attualmente distribuiti dalla Gaza Humanitarian Foundation per volontà di Israele e che Hamas vorrebbe invece tornassero alle Nazioni Unite.

La proposta sul tavolo è definita un "Witkoff migliorato", dal nome dell'inviato americano che continua a lavorare per un accordo. Si sta lavorando per colmare le differenze e arrivare a una formulazione condivisa che rassicuri Hamas sul fatto che Israele non riprenderà le ostilità una volta terminato il cessate il fuoco, pur senza dichiarare esplicitamente la fine della guerra. Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar invita a "non lasciarsi sfuggire l'occasione per il rilascio degli ostaggi".

A complicare le cose, si sarebbero aggiunti però i due rappresentanti dell'ultradestra del governo israeliano. Secondo alcuni media, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, avrebbe contattato il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, per formare un blocco unito nel governo contro l'accordo di tregua. Smotrich nega la circostanza, ma è evidente che l'esecutivo di Netanyahu continui a essere fortemente condizionato dalle posizioni dei leader dei due partiti ultranazionalisti, Potere Operaio e Sionismo religioso.

Come se non bastasse, ad aggiungere nuove tensioni arriva il ministro della Giustizia Yariv Levin, secondo cui è giunto il momento di annettere la Cisgiordania, "di applicare la sovranità". Benzina sul fuoco delle relazioni con i palestinesi.

E parole chiare sia dal ministro della Difesa Israel Katz - "Non c'è alcuna possibilità che ci arrendiamo o scendiamo a compromessi" - che da Netanyahu. Accordo o non accordo, a Gaza "non ci sarà più Hamas. Niente Hamastan. Niente di tutto ciò. È finita. Libereremo tutti i nostri ostaggi e completeremo la missione insieme".

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